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venerdì 28 settembre 2012

LA SCORCIATOIA DELLE EMOZIONI






LA SCORCIATOIA DELLE EMOZIONI


Il cervello elabora le risposte emotive in 12 millesimi di secondo; quelle razionali in un tempo doppio. Per questo le emozioni ci mettono nei guai.


Stava uscendo dalla chiesa ad­dobbata di fiori; al braccio la donna appena sposata do­po un lungo corteggiamento. Le campane suonavano a festa, in­torno c'erano parenti e amici; Gunny, americano cinquantenne, rideva spensierato. Poi lo scoppio, per il ritorno di fiamma di un'auto. Nonostante non indossasse la tuta mimetica ma 1'abito scuro, e ben­ché non fosse nell'umida foresta asiatica, Gunny si sentì afferrare dal terrore: e, come aveva fatto 35 anni prima in caso di imboscate dei Vietcong, sentendo nelle orec­chie il rumore delle armi si buttò in una siepe. Giusto in tempo per ca­pire che quella paura non era più attuale. Eppure l'emozione era sta­ta tanto forte da farlo agire d'istin­to, inconsciamente, senza pensare.



 



Automatismi - Le emozioni d'altronde scaval­cano quasi sempre il cervello razionale. Lo invadono di sentimen­ti forti, danno determinazione e impulsività ai nostri pensieri, li agi­tano e li forzano. A chi non è capi­tato di fare un balzo di spavento per uno scherzo stupido, o di fare una scenata eccessiva a un parente perché era "di cattivo umore"? È in momenti come questi che le emozioni diventano incontrollabi­li. Come mai?
Studiando il percorso delle informazioni dall’orecchio all'a­migdala, Joseph LeDoux, neuro­scienziato di New York, ha scoper­to una scorciatoia delle emozioni, ereditata direttamente dai primi animali privi di corteccia (il luogo del pensiero razionale) e partico­larmente utile alla sopravvivenza. Il rumore dello scoppio entrato nell'orecchio di Gunny era andato al talamo, ma da qui una parte del­l’informazione era passata diret­tamente all'amigdala, una parte del cervello più antica, dove quel rumore era indissolubilmente legato alle emo­zioni vissute, agli scoppi, alle car­neficine del Vietnam, tanto da far scattare immediatamente una rea­zione di difesa. Secondo i calcoli di LeDoux, per questa via il messaggio estremamente semplificato (grosso modo "scoppio=sparo=morte'') ci mette 12 millesimi di secondo a innescare la risposta di fuga. La metà del tempo necessa­rio per il percorso completo, che passa per la corteccia e aggiunge le informazioni della ragione, del tipo "Non si vedono Vietcong, e neppure fucili", che richiedono 24 ml­l secondi per essere elaborate. E Gunny nel frattempo è già nel ce­spuglio.



Rapporti del sistema limbico





Vita di relazione

Lì nell'amigdala sembrano esserci anche le spiegazioni di tante risposte inadeguate della vita di relazione. Ci sono i motivi che ci fanno decidere, già nei primi se­condi di un neonato, se una persona ci piace oppure no; se una serata in compagnia andrà bene o ma­le; se un dipendente da assumere fa o no al caso nostro. In un tempo di millisecondi non entra 1'elabo­razione ragionevole della cortec­cia e i suoi motivi logici e raziona­li. Le prime impressioni sono quel­le ingannevoli dell'amigdala. E poiché l'amigdala sceglie in base al metodo associativo di elementi del presente con quelli del passato può succedere che l'antipatia istin­tiva provata verso una nuova co­noscenza sia dovuta più al colore dei suoi capelli (rossi come quelli del burbero vicino della nonna memorizzati nell'infanzia) che a razionali motivi di sospetto. E quei ricordi dell'infanzia. superati e in­consci, ispirano comportamenti spesso immotivati. 

 

 

 

 





il lato nascosto della mente
Esempio n. 1 Una signora composta ed elegante esce dalla chiesa dove ha assistito al matrimonio di sua figlia. All'improvviso si mette a urlare come una forsennata e abbraccia il signore che stava salutando. Solo dopo "si accorge" di cosa le ha fatto compiere quel gesto inopportuno: la paura di un serpente intravisto con la coda dell'occhio. Serpente peraltro di gomma, portato da un nipotino birichino.
Esempio n. 2 Partita di calcio, mischia in area. Da una selva di gambe, il centravanti vede schizzare, velocissimo, davanti ai suoi piedi, un pallone. Non ha neppure il tempo di pensare a che cosa deve fare. Ma lo tocca. E fa gol!
Esempio n. 3. Il signor Rossi va a votare. Come sempre, fa con convinzione la croce sul simbolo del suo partito preferito. E’, convinto di avere fatto la scelta giusta, razionale. Non è vero. Se potesse leggere il suo inconscio scoprirebbe che ha votato quel partito solo per distinguersi dal padre, fedele votante del partito rivale. O che lo ha fatto spinto da un pregiudizio tipico, del suo ambiente, acquisito quando aveva 5 anni. In tutte queste situazioni ad averci spinto ad agire non e stata la parte razionale cosciente della nostra mente, ma un lato nascosto, che sfugge al nostro controllo e che non sempre ci fa fare ciò che poi vorremmo aver fatto. Talvolta è un pregiudizio diffuso o un antico ricordo che agisce, senza che ce ne accorgiamo, sulle nostre scelte, talvolta un’emozione, capace di scavalcare qualsiasi ragionamento logico. In altri casi, dicono gli scienziati, l’inganno è ancora più clamoroso: siamo convinti di essere coscienti di azioni di cui, nel 90% dei casi, siamo solo attori.  



 



Freud aveva ragione
I ricordi cancellati e l'inconscio condizionano la nostra vita e le nostre scelte apparentemente più coscienti: ecco perché le ultime ricerche danno ragione a Freud.
Il primo a teorizzare, alla fine dell'800, l'esistenza di una par­te della mente che sfugge al nostro controllo razionale fu Freud: secondo il neurologo au­striaco il nostro comportamento è dovuto a un guazzabuglio di emo­zioni, pulsioni e motivazioni legate a tracce lasciate nell'infanzia e di­ventate non coscienti. Ma buona parte dei neuroscienziati ha guar­dato con sospetto le idee di Freud perché non verificabili con il me­todo sperimentale. Oggi però le neuroscienze stanno dimostrando che l'inconscio esiste e che Freud aveva ragione. Prendiamo per esempio la repressione: secondo Freud i ricordi indesiderati e spia­cevoli possono essere deliberata­mente dimenticati. L'anno scorso Michael Anderson e Collin Green dell'University of Oregon hanno dimostrato che la repressione esi­ste, ed è molto frequente. In labo­ratorio, in condizioni controllate, hanno "imitato" la repressione di­mostrando che se si cerca delibe­ratamente di dimenticare alcuni vocaboli, successivamente si ha difficoltà a ricordarli, anche se qual­cuno ci promette denaro.


 



Moglie o mamma?
Se poi pensate che la scelta del partner sia dovuta a fattori contin­genti, vi illudete. Anche in questo caso l'inconscio vi ha giocato uno scherzo. Vi ricordate il complesso di Edipo di Freud? Tutti i bambini, diceva, si innamorano del genitore dell'altro sesso. David Perrett del­1'University of St. Andrews, in Sco­zia, ha dimostrato che ad attirarci sessualmente da adulti sarebbero proprio i visi che più ci ricordano i nostri genitori quando li abbiamo conosciuti. Insomma, imparerem­mo che cosa cercare in un partner guardando mamma e papà duran­te l'infanzia. Sono solo alcuni esempi in cui Freud sembra aver trovato alleati anche al di fuori del­la psicanalisi. Ma la stessa psica­nalisi ha rivisto profondamente il modo di intendere l'inconscio. Spiega Vittorio Lingiardi, psichia­tra e psicanalista che insegna a Ro­ma: «Secondo Freud era un po' co­me la "cantina della mente": il ma­gazzino in cui nascondiamo le cose spiacevoli, che non ci piace ricor­dare. Oggi, invece, anche per la psi­canalisi è diventato una fucina di pensieri e di emozioni in cui le no­stre esperienze sono rielaborate in continuazione». Un po' come ac­cade con i ricordi, influenzati in continuazione da emozioni, asso­ciazioni affettive e dalla situazione in cui ci troviamo a ricordare. I più pensano che la memoria sia una specie di ripostiglio dove possono essere archiviati i ricordi richia­mabili alla coscienza quando serve. 


 



Le memorie non dichiarate
In realtà esistono particolari tipi di ricordi, detti "memorie implici­te", di cui non siamo consapevoli, che influenzano fin dalla nascita lo sviluppo della personalità. Prima della maturazione dell'ippocam­po, il cervello registra le abilità ge­stuali, le acquisizioni per condizio­namento (se cadi, ti fai male) e for­se anche nomi e significati degli oggetti soltanto come "abilità non consapevoli". Ma non è solo un problema di maturazione dell'ip­pocampo. Nel nostro database inaccessibile ci sono tutti i "ricordi" di quando non sapevamo ancora parlare e descrivere emozioni e stati d'animo. Harlene Hayne e Gabrielle Simcock, psicologhe del­1'University of Otago (Nuova Ze­landa), sono convinte che anche se non si ricordano gli eventi della prima infanzia, essi sono ancora li. Quel­lo che ci manca è il catalogatore per rag­giungerli: il vocabola­rio. Le ricercatrici hanno fatto giocare alcuni bimbi con uno strumento comples­so. Quando, un anno dopo, li hanno inter­rogati, i bambini han­no risposto usando il vocabolario di cui di­sponevano l'anno prima. «In un anno avevano acquisito un vocabolario molto più completo, ma non erano in grado di usarlo per descrivere l'e­sperienza dell'anno precedente» dice Hayne. Eppure il ricordo del­l'esperienza era li: quando ai bam­bini fu mostrata una foto del gioco, erano in grado di dimostrare co­me ci avevano giocato. La loro abi­lità di ricordare era superiore alla loro capacità di parlarne. «Il lin­guaggio funziona come un siste­ma di catalogazione per la memo­ria» dice Hayne. «Le esperienze che precedono la possibilità di ca­talogarle con il linguaggio spari­scono, perché non hanno indice. Il volume è nello scaffale, ma solo il caso lo fa trovare».



 



Ripercussioni
Buona parte di ciò che facciamo lo dob­biamo proprio alle memorie implicite. Spiega Alberto Olive­rio, direttore dell'Isti­tuto di Psicobiologia del Cnr: «Quando guidiamo l'auto, an­diamo in bici o mani­poliamo oggetti, in realtà usiamo una se­rie molto complessa di aggiustamenti mo­tori senza rendercene conto». Anzi, li usiamo così bene proprio perché non ce ne rendia­mo conto: se dovessimo compor­tarci al volante come alla prima le­zione di guida (adesso metto in fol­le; accendo il motore; metto la frec­cia; inserisco la prima e schiaccio l'acceleratore) il traffico sarebbe lento e faremmo più incidenti. Ab­biamo imparato davvero qualco­sa quando dimentichiamo di co­noscerla. Ma l'inconscio agisce an­cora più profondamente.


Alberto Oliverio




Autoinganno
Dice Oliverio: «A volte esten­diamo alcune caratteristiche di una persona che ci è simpatica o anti­patica ad altre convinti inconscia­mente che alcuni tratti somatici siano tipici della simpatia». Forse è proprio per questo che la prima impressione, "a pelle", ci influenza più di quelle successive. Per quan­to ci riguarda, invece, amiamo idealizzarci. Se un attore, alla fine di un monologo, viene fischiato, può dare la colpa alla sua cattiva recitazione o all'ignoranza del pubblico. La prima ipotesi è razio­nale ma dolorosa. La seconda, non fa soffrire ma nega la realtà. Di noi ci piace pensare che siamo buoni, bravi, onesti. L'inconscio però sa la verità. «La coscienza è una fac­ciata per ingannare gli altri e noi stessi. La verità è nell'inconscio» dice Robert Trivers della Rutgers University (Usa). «L'autoingan­no ha una sua utilità: se riesci a convincerti che sei il migliore, bluf­fi meglio. Mentre se conosci le tue debolezze, le condizioni competi­tive ti mettono in difficoltà. In­somma, meglio credere di essere i migliori, anche se non è vero».



 



I meccanismi di difesa
E se i meccanismi di difesa individuati da Sigmund Freud (repressione dei ricordi sgraditi ecc.) fossero causati da problemi della corteccia cere­brale destra? Lo sostiene V S. Ramachandran, docente di neuroscienze a San Diego, che ha studiato pazienti che rifiutano di accettare i sintomi di paralisi degli arti dovute a lesioni all'emi­sfero sinistro. Sulla sedia a rotelle sono convinti di muoversi a loro piacere, mentre conser­vano la coscienza di altri mali non neurologici.
Secondo Ramachandran, infatti, l'emisfero sinistro è "conserva­tore", incorpora ogni nuovo dato in modo da avere una visione del mondo coerente coi ricordi già immagazzinati ed esclude i dati minacciosi. L'emisfero destro invece rileva tutte le incongru­enze e costringe il sinistro a rivedere il proprio modello di realtà. Ma se l'emisfero destro è danneggiato non si possono vedere le incongruenze. Questo capita non solo ai pazienti di Ramachandran, ma anche ai nevrotici.


I Lapsus
Anche quando il ricordo sembra perfettamente cosciente non corrisponde mai a ciò che è veramente succes­so, perché è influenzato da variabili emotive. Lo dimostra l'esperimento del foulard di Edouard Claparède, psicologo svizzero che all'inizio del '900 fece interrompere una lezione per 20 secondi da un disturba­tore con un foulard bianco e marrone. Foulard che nelle descrizioni dei testimoni diven­ne rosso, come "deve" essere un foulard rivoluzionario. L'inconscio gioca scherzi anche con lapsus e atti mancati nei quali, senza voler­lo, diciamo o facciamo ciò che volevamo nascondere. «Un mio paziente perdeva sempre la carta d'identità nei periodi di crisi» dice Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicanalista. Un altro, che in seduta non riusciva a raccontare di sé, dimenticava da me l'agenda o le chiavi di casa, come a dire che una parte di lui era disponibile a farsi conoscere". Tutte "verità" che superano il controllo della coscienza.



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