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lunedì 11 giugno 2012

Una molteplicità di intelligenze


Una molteplicità di intelligenze


All'idea dell'esistenza di un'unica intelligenza definibile in termini di QI è meglio sostituire quella di otto, o forse anche nove, tipi diversi di intelligenza: intelligenza musicale, spaziale, cinestesica...




   Il famoso Psicologo americano Howard Gardner fu, a suo tempo, sorpreso dall'enorme successo di pubblico riscosso dal libro The Bell Curve, scritto dal compianto psicologo della Harvard University Richard J. Herrnstein e dal politologo Charles Murray. La maggior parte delle idee espresse nel libro era nota non solo agli esperti di scienze sociali, ma anche al grande pubblico e, del resto, lo psicopedagogista Arthur R. Jensen dell'Università della California a Berkeley e lo stesso Herrnstein avevano prodotto scritti divulgativi sugli stessi argomenti alla fine degli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta. Forse, dovette dire, ogni quarto di secolo una nuova generazione di americani desidera sentirsi raccontare "l'ortodossia psicologica" a proposito dell'intelligenza, e cioè che esiste un'unica intelligenza generale, spesso chiamata g, che si rispecchia in un quoziente di intelligenza individuale o QI.
  Questo modo di vedere è in contrasto con quello che si è sviluppato negli ultimi decenni e cioè che l'intelligenza umana abbraccia un insieme di competenze molto più ampio e universale. Fino a oggi si è arrivati a contare otto tipi di intelligenza, ma potrebbero essercene di più. Tra di essi si trovano sia quelle abilità che sono tradizionalmente considerate intelligenze, come le abilità linguistiche e logico-matematiche, sia altre capacità, come quelle musicali e spaziali, che vengono di solito considerate diversamente. Questi tipi di intelligenza possono costituire la base su cui fondare metodologie didattiche più efficaci.
Definire la potenza cerebrale
    La teoria ortodossa di una sola intelligenza - che, sia pur errata, è oggi ampiamente accettata e diffusa - nacque negli anni venti per opera di alcuni ricercatori che ne misero a punto i concetti fondamentali. La teoria afferma che gli individui nascono con una certa intelligenza o intelligenza potenziale, che questa intelligenza è difficile da modificare e che gli psicologi possono stabilire il QI di un individuo attraverso prove a risposta breve e, forse, attraverso altre misure più «pure», come il tempo necessario a reagire a una successione di impulsi luminosi o la presenza di una particolare combinazione di onde cerebrali.
  L'idea era appena stata proposta che subito iniziarono le critiche. Dal mondo esterno alla psicologia, commentatori come il giornalista Walter Lippmann misero sotto accusa i criteri usati per misurare l'intelligenza, sostenendo che quest'ultima è più complessa e flessibile di quanto ipotizzato dagli psicometristi. All'interno della psicologia, gli studiosi contestarono la nozione di un'unica intelligenza sovraordinata, opponendovi, sulla base delle loro analisi, quella di intelligenza come insieme di parecchi fattori. Negli anni trenta, Louis L. Thurstone dell'Università di Chicago sostenne che aveva più senso pensare a sette «vettori della mente» ampiamente indipendenti. Negli anni sessanta, Joy P. Guilford, della University of Southern California, elencò 120 fattori, portati poi a 150. Godfrey Thomson, dell'Università di Edimburgo, negli anni quaranta parlò di un gran numero di facoltà debolmente collegate tra loro. Ai giorni nostri Robert J. Sternberg, della Yale University, ha proposto una teoria triarchica dell'intelligenza, i cui componenti sarebbero la tradizionale abilità di calcolo, la sensibilità ai fattori contestuali e la reattività al nuovo.
  Sorprendentemente, sia i commentatori favorevoli sia i detrattori dell'idea di una singola intelligenza condividono una convinzione: che la natura dell'intelligenza sia da determinare attraverso i test e l'analisi dei dati così raccolti. Forse, secondo i difensori dell'ortodossia come Herrnstein e Murray, i risultati ottenuti in una grande varietà di test porteranno a individuare un forte fattore generale dell'intelligenza; in effetti, i dati sono a favore di tale convergenza positiva, ossia di un'alta correlazione tra i test. Forse, ribattono i pluralisti come Thurstone e Sternberg, il giusto insieme di test dimostrerà che la mente è formata da un certo numero di fattori relativamente indipendenti e che l'abilità in una certa area non è predittiva dell'abilità in un'altra.
  Ma dove sta scritto che l'intelligenza deve essere determinata sulla base di test? Si era incapaci di dare giudizi sull'intelligenza prima che Sir Francis Galton e Alfred Binet, un secolo fa, formulassero il primo insieme di quesiti psicometrici! Se le decine di test per il QI in uso nel mondo dovessero improvvisamente scomparire, non si sarebbe più in grado di valutare l'intelligenza!
 Contro l'ortodossia
    Circa vent'anni fa Howard Gardner si pose questi fondamentali quesiti e intraprese un cammino diverso nell'indagine dell'intelligenza. Stava conducendo una ricerca principalmente su due gruppi: bambini dotati in una o più forme di arte e adulti colpiti da ictus che avevano compromesso capacità specifiche, lasciandone intatte altre. Vedeva ogni giorno soggetti con profili intellettivi molto diversificati, ed era impressionato dal fatto che, nella varietà del genere umano, un punto di forza o un deficit potessero tranquillamente coesistere con particolari profili di abilità e disabilità.
  In base a tali dati arrivò a un punto fermo: è più giusto pensare che gli esseri umani possiedano un certo numero di facoltà relativamente indipendenti piuttosto che una certa quantità di potenza intellettuale, o QI, che possa essere semplicemente incanalata in questa o in quella direzione. Decise di cercare una definizione migliore di intelligenza umana e arrivò a definirla come "un potenziale psicobiologico per risolvere problemi o per dar forma a prodotti che abbiano valore in almeno un contesto culturale". Ponendo l'accento sulla costruzione di prodotti e di valori culturali, si allontanò così dall'impostazione tipica della psicometria, come quella adottata da Herrnstein, da Murray e dai loro predecessori.
  Per passare dall'intuizione a una definizione di un insieme di intelligenze elaborò criteri che ciascuna delle presunte intelligenze deve soddisfare.
I criteri sono stati ricavati da diverse fonti:
    Psicologia: l'esistenza di un percorso di sviluppo di una capacità che gli individui, siano essi normali o dotati, seguono dall'infanzia all'età adulta; l'esistenza (o la mancanza) di correlazioni tra certe capacità.
    Casistica di apprendimento: l'osservazione di esseri umani non comuni, come bambini prodigio, geni, o di chi ha problemi di apprendimento.
    Antropologia: la registrazione di come nelle diverse culture si sviluppino, vengano ignorate o apprezzate diverse abilità.
    Studi culturali: l'esistenza di sistemi di simboli che codificano certi tipi di significato, per esempio il linguaggio, l'aritmetica, le mappe.
    Scienze biologiche: prove che una capacità abbia una sua storia evolutiva e sia rappresentata in certe strutture neuronali.
Per esempio, varie aree dell'emisfero sinistro sono responsabili del controllo motorio del corpo, del calcolo e dell'abilità linguistica; l'emisfero destro ospita le capacità spaziali e musicali, compresa la discriminazione dell'altezza di un suono.
 Le otto intelligenze
    Armato di questi criteri, Gardner prese in considerazione svariate capacità, da quelle basate sui sensi a quelle che coinvolgono attività di progettazione, l'umore e persino la sessualità. Quando un'abilità rispondeva a tutti o alla maggior parte dei criteri diventava plausibile come intelligenza. Nel 1983 arrivò alla conclusione che sette abilità soddisfacevano abbastanza bene ai criteri: quelle linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale, cinestesica (come quella di atleti, danzatori e altre persone che compiono esercizi fisici), interpersonale (l'abilità di interpretare gli umori, le motivazioni e gli stati mentali degli altri), e intrapersonale (l'abilità di far emergere i propri sentimenti e di basarsi su di essi per indirizzare il comportamento). Le ultime due si considerano di solito insieme e stanno alla base dell'intelligenza emozionale.
In genere le misurazioni standard dell'intelligenza sondano soprattutto l'intelligenza logica e quella linguistica; alcune prendono in esame I'intelligenza spaziale. Gli altri quattro tipi di intelligenza sono quasi ignorati.
  Nel 1995, sulla base di nuovi dati che rispondevano ai criteri, si è introdotta un'ottava intelligenza, quella del naturalista, che permette il riconoscimento e la categorizzazione di oggetti naturali. Ne sono esempi Charles Darwin, John James Audubon e Rachel Carson. Attualmente si sta prendendo in considerazione la possibilità di una nona intelligenza, l'intelligenza esistenziale, che controlla la tendenza umana a elevarsi e a riflettere sulle questioni fondamentali che riguardano l'esistenza, la vita, la morte, la finitezza. Pensatori religiosi come il Dalai Lama e filosofi come Soren A. Kierkegaard rappresentano questo tipo di abilità. Il fatto che l'intelligenza esistenziale vada o meno ad aggiungersi alle altre dipende da quante prove convincenti si accumuleranno sul suo fondamento neuronale.
  La teoria delle intelligenze multiple (o teoria IM, come si comincia a chiamarla) comporta due asserzioni forti: per prima cosa, che tutti gli uomini possiedono queste intelligenze; anzi, da un punto di vista cognitivo, esse si possono considerare collettivamente una definizione di Homo sapiens; in secondo luogo, che siamo l'uno diverso dall'altro e abbiamo personalità e temperamenti unici perché sono diversi i profili delle intelligenze. Non esistono due individui, neppure gemelli o cloni, che abbiano esattamente la stessa combinazione di profili, con le stesse potenzialità e debolezze. Anche nel caso di una medesima eredità genetica, gli individui compiono esperienze diverse e tendono a distinguere i loro profili.
  In psicologia la teoria delle intelligenze multiple ha suscitato un acceso dibattito. Molti ricercatori si ribellano all'idea di abbandonare i test tradizionali e di adottare un insieme di criteri insoliti e poco adatti a essere trattati in termini quantitativi. Molti oppongono anche resistenza all'uso della parola «intelligenza» per descrivere alcune abilità, preferendo definire «talenti» l'intelligenza musicale o cinestesica. Una definizione così ristretta, tuttavia, svaluta tali capacità; ne risulta che i direttori d'orchestra o i ballerini hanno talento ma non sono intelligenti. Per quanto può interessare, si chiamino pure tali abilità talento, purché si definiscano allo stesso modo anche il ragionamento logico e l'abilità linguistica.
  Alcuni hanno messo in dubbio che I'IM sia una teoria empirica. La critica non coglie nel segno: la teoria di Gardner è totalmente fondata su prove empiriche. Il numero delle intelligenze, la loro delineazione, i loro sottocomponenti sono tutti suscettibili di modifiche alla luce di nuovi risultati. L'esistenza dell'intelligenza naturalistica poté essere asserita solo dopo che era stato empiricamente provato che parti del lobo temporale sono preposte al riconoscimento degli oggetti naturali, mentre altre sono dedicate agli oggetti prodotti dall'uomo. (La dimostrazione del fondamento neuronale di tale intelligenza viene in gran parte dalla letteratura clinica, che riporta casi di individui i quali, in seguito a lesioni cerebrali, hanno perso la capacità di identificare le cose viventi, mentre hanno mantenuto quella di denominare le cose inanimate. Le ricerche sperimentali di Antonio R. Damasio dell'Università dello Iowa, di Elizabeth Warrington del gruppo di ricerca sulla demenza del National Hospital di Londra e di altri confermano il fenomeno.)
  Molte prove dell'esistenza di intelligenze individuali sono venute dalla ricerca, svolta nello scorso decennio, sull'intelligenza emozionale e sullo sviluppo di una «teoria della mente» nei bambini; ci si è resi conto che gli esseri umani sono intenzionali e agiscono intenzionalmente. L'interessante scoperta di Frances H. Rauscher dell'Università del Wisconsin a Oshkosh e dei suoi colleghi dell'«effetto Mozart» (cioè che esperienze musicali precoci possono sviluppare le capacità spaziali)  fa crescere,  inoltre,  la probabilità che l'intelligenza spaziale e quella musicale si basino su abilità comuni.
  Vale la pena di notare che il passaggio all'idea di una molteplicità di intelligenze è perfettamente coerente con le tendenze in atto in altre scienze. La neurologia riconosce la natura modulare del cervello; la psicologia evolutiva si basa sull'idea che capacità diverse si siano evolute in ambienti specifici con scopi specifici e l'intelligenza artificiale si occupa sempre più di sistemi esperti anziché di meccanismi generali di risoluzione dei problemi. In ambito scientifico i sostenitori di un unico QI, o intelligenza generale, tendono a essere sempre più isolati e a essere seguiti solo da quanti, come Herrnstein e Murray, hanno un interesse ideologico da difendere.
  Se alcuni psicologi si sono mostrati scettici, gli educatori di tutto il mondo hanno abbracciato la teoria delle intelligenze multiple.
La teoria IM non solo si accorda con la loro intuizione che i bambini sono intelligenti in modi diversi, ma dà anche la possibilità di raggiungere in modo più efficace un maggior numero di studenti tenendo conto degli stili di apprendimento preferiti nei programmi, nell'insegnamento e nella valutazione. È sorta un'industria virtuale per creare scuole, classi, programmi, testi, sistemi informatici IM. La maggior parte di questo lavoro è ben indirizzata e si è dimostrata molto efficace nel motivare gli studenti e nel creare un coinvolgimento intellettuale.
  Ci sono però stati fraintendimenti: per esempio, ritenere che ogni materia dovrebbe essere insegnata in sette o otto modi diversi o che lo scopo della scuola sia identificare le intelligenze degli studenti, magari somministrando loro otto tipi diversi di nuovi test standard. Questo modo di pensare e di procedere, è inopportuno.
  La conclusione è che la teoria IM vada considerata uno strumento e non un obiettivo educativo. Gli educatori, insieme con la comunità a cui appartengono, devono determinare gli obiettivi che vogliono raggiungere. Una volta articolati tali obiettivi, si può ricorrere alla teoria IM come a un potente supporto. Io credo che la scuola debba impegnarsi a sviluppare individui di un certo tipo: dotati di senso civico, sensibili alle arti, competenti nelle varie discipline. Le scuole dovrebbero affrontare materie di importanza fondamentale con sufficiente profondità in modo che gli studenti arrivino ad averne una comprensione globale. I sistemi di progettazione dei programmi e di valutazione basati sulla teoria IM, come il Progetto Spectrum alla Eliot-Pearson Preschool della Tufts University, si sono rivelati uno strumento di notevole utilità per aiutare la scuola a raggiungere tali obiettivi.

Il futuro dell'IM
    Gli esperti dibattono variamente sull'intelligenza da oltre un secolo, chiedendosi anche se ce ne sia una o più di una, e solo un indovino particolarmente audace potrebbe azzardare una previsione sulla scomparsa di questi dibattiti. (In realtà, se il passato è destinato ciclicamente a ripetersi, nuovi Herrnstein e Murray scriveranno il loro The Bell Curve attorno al 2020.) Gardner in qualità di persona che viene più strettamente associata alla teoria delle intelligenze multiple, esprime tre desideri per il lavoro futuro in questo campo.
  I1 primo è quello di una teoria dell'intelligenza più ampia, ma non all'infinito. E tempo che la nozione di intelligenza venga ampliata fino a comprendere le capacità di calcolo, quelle relative alla musica, alla comunicazione personale e alla capacità di decifrare il mondo naturale. È importante, però, che non si facciano confluire nell'intelligenza altre capacità come la creatività, la saggezza o la moralità.
  Gardner sostiene anche che non si dovrebbe ampliare la nozione di intelligenza tanto da farle oltrepassare il confine tra descrizione e prescrizione. La nozione di intelligenza emozionale lo trova d'accordo quando si fa riferimento alla capacità di tener conto di informazioni provenienti dalla propria o dall'altrui vita emozionale. Si è d'accordo con Daniel Goleman, psicologo e giornalista del «New York Times» quando, nel suo recente best-seller Intelligenza emotiva, sottolinea l'importanza dell'empatia come parte dell'intelligenza emozionale. Ma egli insiste anche sul fatto che gli individui si prendano cura l'uno dell'altro. Il fatto di possedere la capacità di rendersi conto delle sofferenze degli altri non è sullo stesso piano del decidere di andar loro in aiuto. Un sadico, anzi, potrebbe usare la sua conoscenza della psiche altrui per infliggere sofferenza.
  I1  secondo desiderio è che si passi dall'uso impersonale di strumenti standardizzati a risposta breve a quello di dimostrazioni prese dalla vita reale o di simulazioni virtuali. In certi periodi storici è stato forse necessario valutare gli individui attraverso prove di scarso interesse intrinseco (per esempio, ripetere una serie di numeri al contrario) ma che si ritenevano correlate con abilità o attitudini importanti. Oggi, però, con l'avvento del computer e delle tecnologie virtuali è possibile osservare direttamente le prestazioni degli individui per controllare la loro capacità di argomentare, di discutere, di osservare dati, di criticare esperimenti, di eseguire lavori artistici e così via. Si dovrebbero esercitare il più possibile gli studenti direttamente in queste attività e stabilire come arrivino a dare prestazioni di valore in condizioni realistiche. Non ci dovrebbe più essere bisogno di ricorrere a strumenti posticci il cui legame con la vita reale è, quando va bene, labile.
  I1 terzo desiderio è che la teoria delle intelligenze multiple venga usata per una pedagogia e per una valutazione più efficaci. Si ha poca simpatia per tentativi educativi che si propongano semplicemente di «allenare» le intelligenze o di usarle in modi banali. Le potenzialità educative della teoria delle intelligenze multiple emergono quando queste capacità sono usate per aiutare gli studenti a organizzare consequenzialmente i materiali disciplinari.
 Gardner spiega come la cosa possa funzionare nel suo  libro A Well-Disciplined Mind. Si sofferma su tre grandi argomenti: la teoria dell'evoluzione (come esempio di verità scientifica), la musica di Mozart (come esempio di bellezza artistica) e l'Olocausto (come esempio di immoralità nella storia recente). Per ciascun caso, egli mostra come si possa presentare l'argomento agli studenti partendo da una varietà di spunti che rimandano a diverse intelligenze, come si possa rendere più familiare l'argomento attraverso l'uso di analogie e metafore attinenti a diversi domini e come si possano cogliere le idee centrali dell'argomento non usando un unico linguaggio simbolico ma attraverso una pluralità di linguaggi o rappresentazioni complementari.
  Con questo tipo di approccio, per esempio, il soggetto che comprende la teoria dell'evoluzione può rappresentarsela in modi diversi: nei termini di una narrazione storica, di un sillogismo logico, come valutazione quantitativa dell'entità e della dispersione delle popolazioni in differenti nicchie, come un diagramma della definizione delle specie, come partecipazione emotiva alla lotta tra individui (o popolazioni o geni) e così via. Chi si rappresenta l'evoluzione in un solo modo, usando un unico linguaggio modello, ha in realtà solo una debole padronanza dei principali concetti della teoria.
  Interrogarsi su chi sia intelligente è stato per un certo periodo importante nella nostra società e diventerà probabilmente un quesito cruciale e controverso in futuro. Per troppo tempo ci si è accontentati di lasciare l'intelligenza nelle mani degli psicometristi. Spesso questi costruttori di test hanno un'idea ristretta, troppo scolastica dell'Intelletto. Si basano su un insieme di strumenti che valorizzano solo certe capacità e trascurano quelle che non si prestano a una formulazione e verifica rapide. E chi ha un obiettivo politico si avvicina spesso pericolosamente al territorio dell'eugenetica.
  La teoria IM rappresenta un tentativo di dare all'idea di intelligenza una base scientifica più ampia e offre agli educatori un insieme di strumenti che permettano a un maggior numero di individui di padroneggiare in modo efficace argomenti sostanziali. Se applicata in modo corretto, la teoria può anche aiutare ciascuno a esplicare il proprio potenziale umano sul luogo di lavoro, durante lo svago e al servizio del mondo.

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