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martedì 19 giugno 2012

L'ipotesi della logica affettiva






  L'ipotesi della logica affettiva

   La psiche potrebbe articolarsi in un sistema dell'affettività, che conferisce alle informazioni una qualità emozionale, e un sistema della cognizione, che le sottopone a un vaglio logico


Sentimento e pensiero, emozione e cognizione, affetti e logica sono stati finora per lo più trattati isolatamente nella psicologia e nella sociologia, e quasi per nulla indagati nella loro regolare interazione, mentre nella realtà psichica sono sempre inseparabilmente connessi: cosa invero di per sé già nota da molto tempo, ma non ancora compresa in misura sufficiente nel suo significato. Fu questo fatto a dare il primo impulso al concetto della logica affettiva, che venne formulato per la prima volta una decina di anni fa da Luc Ciompi (Psichiatra svizzero), in connessione col problema della schizofrenia e che continua da allora a sviluppare e generalizzare.
  Questo concetto si fonda sull'ipotesi economica che l'intera complessità di strutture e processi psichici derivi dall'interazione fra due unità funzionali fondamentali, complementari nella loro azione: un sistema affettivo qualificante, che opera con un piccolo numero di stati affettivi fondamentali (comuni per lo meno a tutti gli animali supenori), e un sistema di pensiero quantificante - astraente, che si e affinato enormemente nel corso dell'evoluzione fino all'uomo attuale. Attraverso l'azione, per lo più ripetitiva - ossia, nel senso più vasto, attraverso l'intera esperienza vissuta - le due unità funzionali si uniscono in sistemi di riferimento affettivo - cognitivi funzionalmente integrati, o in programmi di affettività, pensiero e azione. Essi formano nella loro combinazione un sistema complessivo altamente differenziato per affrontare la realtà in cui ci si imbatte.
  Su questa base si propone ora un nuovo modello psico - socio - biologico della psiche, in cui agli affetti o emozioni - ovvero ai loro correlati neurofisiologici - competono fondamentali funzioni organizzative e integrative. Diventa cosi possibile collegare contenuti cognitivi omogenei a programmi di emozione, pensiero e azione dotati di un'uguale colorazione emozionale.
Fattori affettivi svolgono inoltre un ruolo centrale nella memorizzazione e mobilitazione funzionali di contenuti mnestici, cooperando inoltre all'ulteriore sviluppo di sistemi funzionali cognitivi a livelli di astrazione più alti. Innumerevoli programmi di affettività, pensiero e azione rappresentano così - e questa l'ipotesi centrale della logica affettiva - sui più svariati gradini gerarchici i veri e propri mattoni della psiche, la quale può, essere intesa corrispondentemente come una compagine di tali programmi organizzata in modo estremamente complesso.
  Questa ipotesi utilizza una quantità di risultati paralleli forniti dalle ricerche neurobiologiche e neuropsicologiche più recenti, come pure dalla cosiddetta epistemologia genetica dello psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) e dalla psicoanalisi di Sigmund Freud (1856-1939). Al tempo stesso si stabilisce una connessione fra la psicodinamica individuale e concetti della teoria dei sistemi sociodinamici, la quale comprende anche conoscenze sulla dinamica non lineare di sistemi complessi auto-organizzati lontani dall'equilibrio. In tal modo l'ipotesi unifica contributi provenienti da vari ambiti scientifici in un concetto teorico sovraordinato e sembra quindi appropriata a contribuire a una migliore integrazione fra le varie scienze della psiche, frammentate in una pluralità di discipline specialistiche e di scuole. Anche il molto deplorato deficit teorico della psichiatria potrebbe essere attenuato da un'ottica nuova, la quale vedesse anche nel sentimento, oltre che nel pensiero, uno strumento importante, di ugual valore per la comprensione e il controllo della realtà.
 Affetti, emozioni, stati d'animo o sentimenti come rabbia, gioia, collera, cordoglio e ansia vengono definiti nella logica affettiva come disposizioni qualitative globali, la cui durata può, variare da pochi secondi (per le emozioni nel senso della fisiologia) fino a molte ore, o addirittura giorni e settimane (per stati d'animo nel senso della psicologia). Il loro comune denominatore consiste nel fatto che si tratta sempre di fenomeni complessivi - della psiche, del sistema nervoso centrale, come pure del corpo - i cui concomitanti vegetativi vengono prodotti da ormoni.
  Affetti ed emozioni non si verificano dunque solo nella testa, ma prendono allo stomaco - secondo il modo di dire popolare -, mozzano il fiato, fanno battere forte il cuore, corrono giù per la spina dorsale e fanno rizzare i capelli. La loro azione e misurabile obiettivamente, per esempio, in variazioni del polso, della pressione arteriosa e della respirazione, della tensione muscolare, della resistenza elettrica e irrorazione sanguigna della pelle. Affetti ed emozioni in questo senso non devono inoltre essere sperimentati necessariamente in modo cosciente. Essi si muovono, per esprimerci in un modo molto semplice, fra un polo positivo e un polo negativo (secondo Freud fra il piacere e il dispiacere) e abbracciano - presumibilmente nella forma di un miscuglio e di variazioni di un numero minore di sentimenti fondamentali - l'intera ricchezza di tutte le sfumature concepibili dei sentimenti.
  Sotto l'etichetta del pensiero, che riunisce le funzioni cognitivo-intelleffive, si deve invece intendere l'applicazione quantificante, analitica, di rapporti di grandezza, tempi, distanze, angoli e altre relazioni fra elementi cognitivi, a partire da singole percezioni fino a concetti astratti generali. La cognizione è elaborazione dell'informazione dagli stimoli sensoriali fino all'instaurazione di tali rapporti. Dal tipo di selezione e connessione degli elementi cognitivi deriva una logica ben determinata. Prestazioni simili di elaborazione dell'informazione fornisce anche un computer.
 Un semplice esempio può chiarire che cosa intendo dire: quando progetto un viaggio in una determinata città, l'elemento cognitivo tipico che entra in gioco è per esempio ciò che so della sua posizione geografica, delle distanze, dei mezzi di trasporto e dei tempi, la conoscenza della pianta della città e dell'ubicazione del mio albergo. L'elemento affettivo è costituito invece da tutti i sentimenti, o valutazioni affettive, positivi o negativi, concepiti sulla base di esperienze precedenti o di informazioni di altro genere, connessi in modo cosciente o inconscio a questi elementi cognitivi. Essi colorano e determinano in modo decisivo tutto il mio pensiero e il mio comportamento la mia logica - rispetto a questa città e, nel caso di un atteggiamento positivo, sono responsabili del fatto che io sono in generale motivato a compiere questo viaggio, che applico abbastanza a lungo e abbastanza intensamente la mia attenzione a esso e che mi comporto e mi organizzo corrispondentemente, magari anche per mesi.
  L'esempio illustra al tempo stesso che elementi complementari affettivi e cognitivi si uniscono in sistemi di riferimento - e addirittura in programmi di affettività, pensiero e comportamento integrati funzionalmente; in questo caso gli elementi cognitivi potrebbero essere paragonati alle strutture grafiche di un quadro, o ancora meglio di un film in movimento, mentre gli affetti potrebbero essere assimilati ai colori. Siffatte qualità (cromatiche) sono assegnate, conformemente alla logica affettiva, a tutti i contenuti cognitivi, dalle percezioni più elementari (per esempio di un semplice oggetto) fino ai concetti astratti e alle teorie più complesse, in particolare fino a tutti i sistemi di valori e di norme, senza fare eccezione per le ideologie politiche e religiose.
  E. inoltre interessante un fattore temporale e al tempo stesso strutturale: gli affetti durano minuti, ore o addirittura giorni, mentre i contenuti concettuali possono variare nel giro di secondi. In questo contesto il sentimento sembra per lo più un'oscillazione fondamentale o portante relativamente lenta o una invarianza, sulla quale i pensieri, più precisi, sono modulati rapidamente, per cosi dire come una varianza. (Molto più di rado anche gli affetti possono mutare rapidamente in presenza di un unico determinato contenuto cognitivo, per esempio un luogo o una persona. Allora si vede l'oggetto in una luce del tutto diversa.)
 Dalla combinazione di determinate invarianze con determinate varianze risultano - per esprimerci nei termini più generali - strutture tipiche di ogni sorta. Dalla combinazione di determinate emozioni con determinate cognizioni deriva in tal modo potenzialmente l'intera molteplicità delle strutture psichiche interne, con le quali noi comprendiamo e manipoliamo il mondo esterno, a sua volta strutturato.
 Del problema di come le strutture affettivo-cognitive abbiano origine e di come si sviluppino fino all'età adulta si sono occupati, anche se in modo molto diverso, soprattutto due indirizzi scientifici: la psicoanalisi freudiana e l'epistemologia genetica di Piaget. La prima ha studiato prevalentemente il lato affettivo di questo processo, la seconda il lato cognitivo.
  Benché fra le due teorie e i due ambiti di ricerca che si fronteggiano con un atteggiamento quasi di rifiuto siano stati gettati solo pochi ponti concettuali, le due parti hanno conseguito risultati sorprendentemente corrispondenti e complementari. Ciò, vale nel modo più chiaro per il primo anno di vita. Piaget e collaboratori hanno investigato in modo minuzioso come le rappresentazioni cognitive elementari si formino particolarmente a partire da oggetti quotidiani, come semplici giocattoli o poppatoi. Gli psicoanalisti cercarono invece di ricostruire lo sviluppo della rappresentazione del mondo nel bambino piccolo specialmente attraverso una analisi esatta dei rapporti affettivi fra madre e figlio.
 Piaget riconobbe che i concetti cognitivo-mentali derivano tutti quanti da determinati modelli d'azione sensomotori, che a partire dal primo giorno di vita si sviluppano e si differenziano in relazione alle esperienze sulla base dei riflessi innati. Un esempio in proposito è fornito dai riflessi di suzione e di prensione. Entro pochi mesi, mentre i movimenti delle mani, della testa, degli occhi e del corpo intero diventano sempre più coordinati e sempre più fini, da tali riflessi derivano già schemi complessi, per esempio per l'uso del poppatoio o per riconoscere l'intera figura materna. Che tali inizi vengano sempre più interiorizzati e mentalizzati al crescere dell' automatizzazione dei movimenti è dimostrato dal fatto che determinati modelli sensomotòri vengono accompagnati inizialmente da gesti simbolici e da espressioni mimiche, e infine anche da suoni verbali simbolici nella forma di cosiddette frasi di una o due sillabe, come da, ma, me, dada: Da questi elementi si sviluppa col tempo - anche in questo caso dall'azione nel senso più vasto - l'intero linguaggio verbale.
 Secondo osservazioni orientate in senso psicoanalitico, il mondo del neonato si suddivide in un primo tempo in un «mondo-tutto-bene», con connotazioni affettive totalmente positive, e un «mondo-tutto-male», con connotazioni affettive totalmente negative. Nel corso di un complesso processo di differenziamento, in ciascuno questi due mondi affettivi vengono, per così dire, registrati sempre nuovi elementi di percezione o di esperienza che presentano tonalità affettive simili, con modi di comportamento corrispondenti. Sentimenti elementari di piacere e dispiacere sembrano dunque agire dal principio come organizzatori e integratori fondamentali, permettendo di classificare immediatamente in modo sensato, anche se grossolano, tutto ciò in cui il soggetto si imbatte: in utile e desiderabile da un lato e in pericoloso, da evitare rigorosamente, dall'altro. Particolarmente importanti sono, secondo la concezione psicoanalitica, gli eventi orali connessi alla fame e alla sazietà - decisivi per la fase iniziale della sopravvivenza - nell'interazione con la madre (la figura di riferimento di maggiore rilievo).
  Una fase di sviluppo più significativa viene raggiunta attorno all'ottavo mese, quando gli aspetti affettivo-cognitivi della madre, colti all'inizio solo in modo frammentario, si organizzano in una figura materna completa, che rimane impressa nella memoria. Questa cosiddetta costanza dell'oggetto si rivela prevalentemente nel fatto che il neonato comincia a mostrare segni di timidezza. Egli diventa timoroso e schivo verso gli estranei, i quali vengono ora riconosciuti come persone chiaramente diverse dalla madre.
  All'incirca nello stesso periodo compaiono le prime reazioni di rifiuto e di sfida, che andranno poi rafforzandosi, e infine anche suoni simbolici per esprimere «no» e «io». Da queste manifestazioni risulta che stanno formandosi, parallelamente a rappresentazioni di oggetti esterni, anche rappresentazioni di sé, ossia rappresentazioni mentali interiorizzate della propria persona.
  Proprio in relazione all'oggetto preferito di Piaget, il biberon, o dell'oggetto parziale, preso maggiormente in considerazione dagli psicoanalisti, il seno materno, diventa chiaro che i due approcci illuminano da punti di vista diversi lo stesso processo. Questa sintesi mostra come elementi affettivi e cognitivi cooperino fin dal principio inscindibilmente nella formazione delle strutture psichiche, cosa che non viene contestata da nessuno dei due indirizzi di ricerca. E notevole il fatto che Piaget, occupatosi per una volta eccezionalmente del lato emozionale dello sviluppo cognitivo, trovi, che proprio a partire dall'ottavo mese si verifica una cosiddetta «costanza degli affetti»; in altri termini, si verifica una significativa stabilizzazione del legame di determinati sentimenti con determinati contenuti cognitivi.
Per il primo anno di vita non ci sono quindi praticamente contraddizioni importanti fra i risultati dei due indirizzi di ricerca, se si prescinde dal fatto che le epoche iniziali delle vane fasi di sviluppo vengono fissate in momenti un po' differenti e che si danno valutazioni diverse delle componenti affettive e cognitive. Per gli anni successivi si ha una maggiore divaricazione dei punti di vista, ma i risultati ottenuti dai due indirizzi continuano a integrarsi nei principi generali come pure in vari aspetti parziali.
 Particolarmente interessante è, in questo contesto, l'analisi di Piaget del processo di ricerca di equilibri sempre più avanzati: lo sviluppo di strutture cognitive (o schemi, per usare la sua espressione) a livelli di astrazione progressivamente superiori. Con l'aiuto di esperimenti costruiti in modo ingegnoso - per esempio con una determinata quantità di liquido che veniva travasato da un bicchiere basso e largo in un bicchiere alto e stretto - Piaget esaminò in modo dettagliato come si formi la capacità del pensiero astratto in bambini di età compresa fra cinque e sei anni. A partire da uno schema cognitivo elementare di spiegazione (per esempio più alto significa di più, e quindi nel bicchiere più alto c'è più acqua) si perviene in questa fase a un concetto essenzialmente più astratto: il bicchiere più alto, ma più stretto, contiene dopo l'operazione di travaso la stessa quantità d'acqua del bicchiere più basso ma più largo. Questo passo in avanti nello sviluppo è causato dalle contraddizioni che emergono nell'applicazione del concetto originario - sentito sempre più come un disturbo - e si compie in varie fasi.
  I segni osservabili di un'intensa partecipazione affettiva - per esempio grida di stizza o esclamazioni di meraviglia in una prima fase, un'ansiosa insicurezza in una fase intermedia caratterizzata da ambivalenza, una gioia trionfale nell'ultima - dimostrano che non ci troviamo affatto in presenza di un processo puramente cognitivo. Tali segni rimangono trascurati nella concezione dello sviluppo cognitivo in Piaget pur essendo annotati nei protocolli delle osservazioni, proprio come non vengono prese in considerazione in modo adeguato le interazioni - che non di rado vengono chiaramente in luce - fra il bambino e lo sperimentatore, le quali ricordano fenomeni di transfert in senso psicoanalitico. Dal punto di vista della logica affettiva, proprio i sentimenti positivi e negativi sono un componente integrante necessario dell'intero processo. Essi non svolgono soltanto la funzione dinamica di una motivazione che contribuisce alla formazione di nuove strutture cognitive, come ammette lo stesso Piaget, ma al tempo stesso additano e spianano la strada dalle cattive alle buone soluzioni, associando regolarmente sentimenti piacevoli alle soluzioni concordanti, mentre gli elementi discordanti suscitano emozioni opposte e vengono eliminati. Alle buone soluzioni seguono quindi la fissazione e il consolidamento di sentimenti gradevoli di distensione. I modi di pensare concordanti sono piacevoli, sia all'interno di sistemi di riferimento già avviati sia nella costruzione di nuovi. Affetti positivi affini saldano infine vari elementi concordanti in una totalità funzionale.
 
Componenti affettive sono connesse, almeno nell'infanzia, praticamente a tutte le prestazioni di pensiero cognitivo. Questa associazione continua a sussistere in età adulta? Nella scienza e nella tecnica, o almeno in matematica, non c'è un pensiero totalmente libero da emozioni?
  Secondo la definizione degli affetti data all'inizio è impossibile non trovarsi in uno stato d'animo in qualche modo colorato da affetti. Persino la distensione, l'armonia, la tranquillità e la freddezza, e addirittura l'indifferenza, continuano a essere in questo senso stati d'animo con corrispondenti fenomeni concomitanti psichici e somatici. In quale misura, persino nel pensiero apparentemente privo di emozione, traspaiano sempre elementi affettivi più o meno inconsci lo ha indicato per esempio, dopo la ricerca psicoanalitica, anche la ricerca sui pregiudizi: sono quindi carichi di affettività non solo parole stimolo come «palestinesi» o «israeliani, «bianchi» o «neri», «noi, o «loro», ma addirittura concetti quotidiani e ovvietà che a tutta prima sembrerebbero neutri, come per esempio le normali regole di pensiero e di comportamento nei rapporti con i propri simili.
  Persino nell'origine di concetti e teorie scientifici, e in operazioni matematiche astratte, le emozioni svolgono un ruolo non secondario: l'entusiastico eureka di Archimede, quando identificò nella quantità d'acqua spostata la misura della spinta idrostatica, chiarisce in modo evidente come anche nella scienza stessa soluzioni corrette, plausibili, siano accompagnate da sentimenti di piacere e di distensione (il vocabolo stesso «soluzione» ha forti connotazioni emotive). Discordanze e contraddizioni vanno invece a braccetto con dispiacere e disappunto. Fra lo scolaro che scopre per la prima volta con gioioso stupore la reversibilità di operazioni di calcolo elementari come 2 x 2 = 4 e 4 : 2 = 2, e il futuro scienziato che può, provare sentimenti simili nel comprendere la correttezza di formule come la famosa E = mc2 di Albert Einstein, ci sono differenze solo nel grado astrazione e forse nell'intensità, ma non nella qualità essenziale degli eventi affettivo - cognitivi.
  In verità la forte tonalità affettiva, all'inizio cosciente, associata a tali scoperte diminuisce fortemente via via che vanno automatizzandosi i corrispondenti processi affettivi e cognitivi, ma ciò, non significa che venga meno ogni emozione. Le capacita cognitive ben affinate suscitano in noi, come ha mostrato Freud, un piacere segreto simile a quello che danno la capacita di sciare o quella di guidare l'automobile, e quindi abilita motorie. Qualcosa del forte sentimento originario continua a trasparire persino nell'uso familiare apparentemente privo di emozione di soluzioni e operazioni cognitive ormai perfezionate, e si esprime nel fatto che lo scienziato e il matematico parlano spesso e volentieri della bellezza o dell'eleganza di una certa formula o teoria.
  Se però in teorie consolidate emergono d'improvviso irritanti contraddizioni, o addirittura se tali teorie vengono messe radicalmente in discussione da un paradigma del tutto nuovo - come per esempio nel caso delle scoperte di un Copernico, di un Darwin, di un Freud, di un Einstein -, la loro carica emotiva nascosta torna fulmineamente in superficie: ancor oggi, come è ben noto, le ondate di indignazione o di stupore suscitate dalle rivoluzioni scientifiche scatenate da questi uomini non si sono ancora spente.
  Il problema se possano esistere in generale aree del pensiero e del comportamento esenti da connotazioni emotive è stato a suo tempo discusso con grande energia anche nell'ambito della cosiddetta «psicologia dell'Io». Così Heinz Hartmann, uno fra gli psicoanalisti emigrati negli Stati Uniti negli anni trenta, postulò, nel 1937 una zona priva di conflitti, affettivamente neutralizzata dall'esercizio e dall'abitudine, analoga all'hinterland tranquillo di uno Stato minacciato ai confini. Tale zona potrebbe però, essere riconflittualizzata in ogni momento da irruzioni dal fronte dell'affettività Benché questa tesi sia rimasta discutibile, nessuno dubiterà che la rabbia o il timore originari, ma anche la gioia o l'entusiasmo per l'acquisizione di una nuova capacità o per lo sviluppo di una nuova teoria, lascino di solito il posto, al crescere della routine, a sentimenti più tranquilli, e a volte addirittura contrari rispetto a quelli iniziali. Una reale libertà delle funzioni cognitive da affetti - come pure una totale libertà degli affetti dalla cognizione - è secondo l'ipotesi della logica affettiva impossibile, almeno nel caso di strutture cerebrali intatte.
 Ovviamente la complessa gerarchia dei sistemi di riferimento affettivo - cognitivi non può essere in alcun modo intesa come qualcosa di statico. Essi sono piuttosto, secondo il concetto della logica affettiva, una compagine di programmi di affettività, di pensiero e di comportamento associati a una base neuronale, che sotto l'influsso dell'esperienza attuale si riorganizza di continuo almeno in settori parziali. Al tempo stesso questo insieme di programmi memorizza e condensa l'intera esperienza passata in una compresenza o contiguità sincronica, che in situazioni simili può sempre, in un certo senso, tornare a svolgersi in una successione diacronica. Su questo meccanismo si fondano sia semplici riflessi condizionati (apprendimento condizionato) sia le più complesse reazioni psicoanalitiche di transfert. Poiché in tali programmi non si riflette solo l'esperienza psichica ma anche l'intera esperienza interpersonale e il rapporto col mondo, ne risulta una connessione logica concettualmente chiara fra ambiti che finora venivano affrontati per lo più con teorie separate. Cosi la psicoanalisi si occupa preferenzialmente della psicodinamica, mentre la dinamica familiare, la dinamica dei gruppi e altri processi sociali vengono trattati dalla teoria dei sistemi, spesso senza alcun rapporto all'individuo.
  I programmi di affettività, di pensiero e di comportamento, una volta formati, rimangono dunque modificabili e ampliabili attraverso l'apprendimento, e proprio qui le componenti affettive tornano a svolgere un importante ruolo organizzativo-integrativo. Come ci insegna l'esperienza quotidiana, avvenimenti e fatti che furono connessi a sentimenti importanti - come gioia, terrore, ansia o rabbia - si conservano particolarmente bene nella memoria. Le informazioni puramente cognitive, invece, lasciano freddi e (come ben sanno pubblicitari e i giornalisti) cadono praticamente nel vuoto. Il fenomeno della dipendenza dell'apprendimento e del ricordo da un determinato stato funzionale del cervello dimostra che gli affetti agiscono come filtri o commutatori, i quali decidono che cosa in generale sarà memorizzato o richiamato alla memoria. Così, per esempio, la persona innamorata, felice ed euforica registrerà aspetti di uno stesso ambiente del tutto diversi da quelli ricordati dalla persona triste, in collera o spaventata, e corrispondentemente diversi saranno i suoi ricordi.
  Oltre ai risultati delle ricerche di fisiologia cerebrale su questi fenomeni, dei quali ci occuperemo più dettagliatamente fra poco, anche osservazioni puramente psicologiche ci dicono che contenuti di memoria cognitivi legati fra loro da affetti uguali vengono mobilitati di preferenza proprio negli stessi stati affettivi, come hanno dimostrato in modo impressionante, per esempio, gli esperimenti eseguiti negli anni settanta alla Johns Hopkins University a Baltimora, nel Maryland, da Stanislaw Grof. Quando Grof, per mezzo dell'ipnosi o di farmaci psicotropi, induceva nei suoi soggetti sentimenti di ansia, gioia o vergogna, emergevano per cosi dire in blocco ricordi dispersi su tutta la vita ma rimossi, caratterizzati da una qualità affettiva omogenea; egli chiamò, tali blocchi ricordi Coex (dall'espressione inglese condensed experiences, esperienze condensate).
 Comunque avvenga l'attivazione di determinati blocchi affettivo - cognitivi, essa dipende - secondo la concezione che si sta  presentando - dalla struttura dei sistemi di riferimento affettivo - cognitivi esistenti non meno che dalla natura degli evocatori, siano essi di tipo cognitivo, affettivo, sensomotorio o biochimico (in relazione al funzionamento del sistema nervoso centrale). Ciò può spiegare con facilità perché stimoli uguali possano avere su individui differenti effetti cosi diversi da dare agli esperimenti risultati contraddittori. Esso chiarisce al tempo stesso perché la controversia, in corso ormai da decenni, sul problema se l'elemento primario sia l'affetto o la cognizione, non potrà presumibilmente mai essere risolta a favore dell'uno o dell'altro orientamento.
  Persino il cosiddetto libero arbitrio presenta una struttura tipicamente affettivo-cognitiva: esso ha un contenuto cognitivo (voglio costruire una casa, andare a Parigi, comprare questo o quell'oggetto) e corrisponde al tempo stesso a un intenso affetto dominante. Dall'analisi di tutte le indicazioni e gli indizi relativi, Piaget concluse addirittura che la volontà sarebbe una «regolazione affettiva di regolazioni,, e che esprimerebbe un impulso affettivo gerarchicamente sovraordinato.
  L'interpretazione di Piaget è in accordo con quella delle funzioni di mobilitazione e organizzazione-integrazione degli affetti postulate dalla logica affettiva: l'«affetto del volere» dominante, focalizzato, canalizza e polarizza il pensiero verso un obiettivo determinato più fortemente di tutti gli affetti subordinati; esso è perciò notoriamente in grado di spostare le montagne. Solo nell'uomo, però, i suoi effetti si spingono così lontano da poter sopprimere volontariamente certi moti dell'animo oppure anche da poterli simulare.
 Non si dovrebbe peraltro perdere di vista il fatto che, in ultima analisi, tali «regolazioni» stanno a loro volta di nuovo sotto l'imperio di affetti sovraordinati, come vergogna, ansia o aggressività. Poiché gran parte di queste commutazioni affettive - come dimostrano i

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