Il cervello elabora le risposte emotive
in 12 millesimi di secondo; quelle razionali in un tempo doppio. Per questo le
emozioni ci mettono nei guai.
Stava uscendo
dalla chiesa addobbata di fiori; al braccio la donna appena sposata dopo un
lungo corteggiamento. Le campane suonavano a festa, intorno c'erano parenti e
amici; Gunny, americano cinquantenne, rideva spensierato. Poi lo scoppio, per
il ritorno di fiamma di un'auto. Nonostante non indossasse la tuta mimetica ma
1'abito scuro, e benché non fosse nell'umida foresta asiatica, Gunny si sentì
afferrare dal terrore: e, come aveva fatto 35 anni prima in caso di imboscate
dei Vietcong, sentendo nelle orecchie il rumore delle armi si buttò in una
siepe. Giusto in tempo per capire che quella paura non era più attuale. Eppure
l'emozione era stata tanto forte da farlo agire d'istinto, inconsciamente,
senza pensare.
Automatismi - Le emozioni
d'altronde scavalcano quasi sempre il cervello razionale. Lo invadono di
sentimenti forti, danno determinazione e impulsività ai nostri pensieri, li
agitano e li forzano. A chi non è capitato di fare un balzo di spavento per
uno scherzo stupido, o di fare una scenata eccessiva a un parente perché era
"di cattivo umore"? È in momenti come questi che le emozioni
diventano incontrollabili. Come mai?
Studiando il
percorso delle informazioni dall’orecchio all'amigdala, Joseph LeDoux, neuroscienziato
di New York, ha scoperto una scorciatoia delle emozioni, ereditata
direttamente dai primi animali privi di corteccia (il luogo del pensiero
razionale) e particolarmente utile alla sopravvivenza. Il rumore dello scoppio
entrato nell'orecchio di Gunny era andato al talamo, ma da qui una parte dell’informazione era
passata direttamente all'amigdala, una parte
del cervello più antica, dove quel rumore era indissolubilmente legato alle emozioni
vissute, agli scoppi, alle carneficine del Vietnam, tanto da far scattare
immediatamente una reazione di difesa. Secondo i calcoli di LeDoux, per questa
via il messaggio estremamente semplificato (grosso modo
"scoppio=sparo=morte'') ci mette 12 millesimi di secondo a innescare la risposta di
fuga. La metà del tempo necessario per il percorso completo, che passa per la
corteccia e aggiunge le informazioni della ragione, del tipo "Non si
vedono Vietcong, e neppure fucili", che richiedono 24 mll secondi per essere elaborate. E
Gunny nel frattempo è già nel cespuglio.
Rapporti del sistema limbico |
Vita di relazione
Lì nell'amigdala sembrano esserci anche le spiegazioni di tante risposte inadeguate della vita di relazione. Ci sono i motivi che ci fanno decidere, già nei primi secondi di un neonato, se una persona ci piace oppure no; se una serata in compagnia andrà bene o male; se un dipendente da assumere fa o no al caso nostro. In un tempo di millisecondi non entra 1'elaborazione ragionevole della corteccia e i suoi motivi logici e razionali. Le prime impressioni sono quelle ingannevoli dell'amigdala. E poiché l'amigdala sceglie in base al metodo associativo di elementi del presente con quelli del passato può succedere che l'antipatia istintiva provata verso una nuova conoscenza sia dovuta più al colore dei suoi capelli (rossi come quelli del burbero vicino della nonna memorizzati nell'infanzia) che a razionali motivi di sospetto. E quei ricordi dell'infanzia. superati e inconsci, ispirano comportamenti spesso immotivati.
il lato nascosto della mente
Esempio n. 1 Una signora composta ed elegante esce dalla chiesa
dove ha assistito al matrimonio di sua figlia. All'improvviso si mette a urlare
come una forsennata e abbraccia il signore che stava salutando. Solo dopo
"si accorge" di cosa le ha fatto compiere quel gesto inopportuno: la
paura di un serpente intravisto
con la coda dell'occhio. Serpente peraltro di gomma, portato da un nipotino
birichino.
Esempio n. 2 Partita di calcio, mischia in area. Da una selva di
gambe, il centravanti vede schizzare, velocissimo, davanti ai suoi piedi, un
pallone. Non ha neppure il
tempo di pensare a che cosa deve fare. Ma lo tocca. E fa gol!
Esempio n. 3. Il signor Rossi va a votare. Come sempre, fa con
convinzione la croce sul simbolo del suo partito preferito. E’, convinto di
avere fatto la scelta giusta, razionale. Non è vero. Se potesse leggere il suo
inconscio scoprirebbe che ha votato quel partito solo per distinguersi dal padre,
fedele votante del partito rivale. O che lo ha fatto spinto da un pregiudizio
tipico, del suo ambiente, acquisito quando aveva 5 anni. In tutte queste
situazioni ad averci spinto ad agire non e stata la parte razionale cosciente
della nostra mente, ma un lato nascosto, che sfugge al nostro controllo e che
non sempre ci fa fare ciò che poi vorremmo aver fatto. Talvolta è un
pregiudizio diffuso o un antico ricordo che agisce, senza che ce ne accorgiamo,
sulle nostre scelte, talvolta un’emozione, capace di scavalcare qualsiasi
ragionamento logico. In altri casi, dicono gli scienziati, l’inganno è ancora
più clamoroso: siamo convinti di essere coscienti di azioni di cui, nel 90% dei
casi, siamo solo attori.
Freud aveva ragione
I ricordi cancellati e l'inconscio condizionano la
nostra vita e le nostre scelte apparentemente più coscienti: ecco perché le
ultime ricerche danno ragione a Freud.
Il primo a
teorizzare, alla fine dell'800, l'esistenza di una parte della mente che
sfugge al nostro controllo razionale fu Freud: secondo il neurologo austriaco
il nostro comportamento è dovuto a un guazzabuglio di emozioni, pulsioni e
motivazioni legate a tracce lasciate nell'infanzia e diventate non coscienti.
Ma buona parte dei neuroscienziati ha guardato con
sospetto le idee di Freud perché non verificabili con il metodo
sperimentale. Oggi però le neuroscienze stanno dimostrando che l'inconscio
esiste e che Freud aveva ragione. Prendiamo per esempio la repressione: secondo
Freud i ricordi indesiderati e spiacevoli possono essere deliberatamente
dimenticati. L'anno scorso Michael Anderson e Collin Green dell'University of
Oregon hanno dimostrato che la repressione esiste, ed è molto frequente. In
laboratorio, in condizioni controllate, hanno "imitato" la
repressione dimostrando che se si cerca deliberatamente di dimenticare alcuni
vocaboli, successivamente si ha difficoltà a ricordarli, anche se qualcuno ci
promette denaro.
Moglie o mamma?
Se
poi pensate che la scelta del partner sia dovuta a fattori contingenti, vi
illudete. Anche in questo caso l'inconscio vi ha giocato uno scherzo. Vi
ricordate il complesso di Edipo di Freud? Tutti i bambini, diceva, si
innamorano del genitore dell'altro sesso. David Perrett del1'University of St.
Andrews, in Scozia, ha dimostrato che ad attirarci sessualmente da adulti
sarebbero proprio i visi che più ci ricordano i nostri genitori quando li
abbiamo conosciuti. Insomma, impareremmo che cosa cercare in un partner
guardando mamma e papà durante l'infanzia. Sono solo alcuni esempi in cui
Freud sembra aver trovato alleati anche al di fuori della psicanalisi. Ma la
stessa psicanalisi ha rivisto profondamente il modo di intendere l'inconscio.
Spiega Vittorio Lingiardi, psichiatra
e psicanalista che insegna a Roma: «Secondo Freud era un po' come la
"cantina della mente": il magazzino in cui nascondiamo le cose
spiacevoli, che non ci piace ricordare. Oggi, invece, anche per la psicanalisi
è diventato una fucina di pensieri e di emozioni in cui le nostre esperienze
sono rielaborate in continuazione». Un po' come accade con i ricordi,
influenzati in continuazione da emozioni, associazioni affettive e dalla
situazione in cui ci troviamo a ricordare. I più pensano che la memoria sia una
specie di ripostiglio dove possono essere archiviati i ricordi richiamabili
alla coscienza quando serve.
Le
memorie non dichiarate
In realtà
esistono particolari tipi di ricordi, detti "memorie implicite", di cui non siamo
consapevoli, che influenzano fin dalla nascita lo sviluppo della personalità.
Prima della maturazione
dell'ippocampo, il cervello registra le abilità gestuali, le
acquisizioni per condizionamento (se cadi, ti fai male) e forse anche nomi e
significati degli oggetti soltanto come "abilità non consapevoli". Ma non è solo
un problema di maturazione dell'ippocampo. Nel nostro database inaccessibile
ci sono tutti i "ricordi" di quando non sapevamo ancora parlare e
descrivere emozioni e stati d'animo. Harlene Hayne e Gabrielle Simcock,
psicologhe del1'University of Otago (Nuova Zelanda), sono convinte che anche
se non si ricordano gli eventi della prima infanzia, essi sono ancora li. Quello
che ci manca è il catalogatore per raggiungerli: il
vocabolario. Le ricercatrici hanno fatto giocare alcuni bimbi con uno
strumento complesso. Quando, un anno dopo, li hanno interrogati, i bambini
hanno risposto usando il vocabolario di cui disponevano l'anno prima. «In un
anno avevano acquisito un vocabolario molto più completo, ma non erano in grado
di usarlo per descrivere l'esperienza dell'anno precedente» dice Hayne. Eppure
il ricordo dell'esperienza era li: quando ai bambini fu mostrata una foto del
gioco, erano in grado di dimostrare come ci avevano giocato. La loro abilità
di ricordare era superiore alla loro capacità di parlarne. «Il linguaggio
funziona come un sistema di catalogazione per la memoria» dice Hayne. «Le
esperienze che precedono la possibilità di catalogarle con il linguaggio spariscono,
perché non hanno indice. Il
volume è nello scaffale, ma solo il caso lo fa trovare».
Ripercussioni
Buona parte di
ciò che facciamo lo dobbiamo proprio alle memorie
implicite. Spiega Alberto Oliverio,
direttore dell'Istituto di Psicobiologia del Cnr: «Quando guidiamo l'auto, andiamo
in bici o manipoliamo oggetti, in realtà usiamo una serie molto complessa di
aggiustamenti motori senza rendercene conto». Anzi, li usiamo così bene
proprio perché non ce ne rendiamo conto: se dovessimo comportarci al volante
come alla prima lezione di guida (adesso metto in folle; accendo il motore;
metto la freccia; inserisco la prima e schiaccio l'acceleratore) il traffico
sarebbe lento e faremmo più incidenti. Abbiamo imparato davvero qualcosa
quando dimentichiamo di conoscerla. Ma l'inconscio agisce ancora più
profondamente.
Alberto Oliverio |
Autoinganno
Dice Oliverio:
«A volte estendiamo alcune caratteristiche di una persona che ci è simpatica o
antipatica ad altre convinti inconsciamente che alcuni tratti somatici siano
tipici della simpatia». Forse è proprio per questo che la prima impressione,
"a pelle", ci influenza più di quelle successive. Per quanto ci
riguarda, invece, amiamo idealizzarci. Se un attore, alla fine di un monologo,
viene fischiato, può dare la colpa alla sua cattiva recitazione o all'ignoranza
del pubblico. La prima ipotesi è razionale ma dolorosa. La seconda, non fa
soffrire ma nega la realtà. Di noi ci piace pensare che siamo buoni, bravi,
onesti. L'inconscio però sa la verità. «La coscienza è una facciata per ingannare
gli altri e noi stessi. La
verità è nell'inconscio» dice Robert Trivers della Rutgers University
(Usa). «L'autoinganno ha una sua utilità: se riesci a convincerti che sei il
migliore, bluffi meglio. Mentre se conosci le tue debolezze, le condizioni competitive
ti mettono in difficoltà. Insomma, meglio credere di essere i migliori, anche se non è vero».
I meccanismi di difesa
E
se i meccanismi di difesa individuati da Sigmund Freud (repressione dei ricordi
sgraditi ecc.) fossero causati da problemi della corteccia cerebrale destra?
Lo sostiene V S. Ramachandran, docente di neuroscienze a San Diego, che ha
studiato pazienti che rifiutano di accettare i sintomi di paralisi degli arti
dovute a lesioni all'emisfero sinistro. Sulla sedia a rotelle sono convinti di
muoversi a loro piacere, mentre conservano la coscienza di altri mali non
neurologici.
Secondo
Ramachandran, infatti, l'emisfero sinistro è "conservatore",
incorpora ogni nuovo dato in modo da avere una visione del mondo coerente coi
ricordi già immagazzinati ed esclude i dati minacciosi. L'emisfero destro
invece rileva tutte le incongruenze e costringe il sinistro a rivedere il
proprio modello di realtà.
Ma se l'emisfero destro è danneggiato non si possono vedere le incongruenze.
Questo capita non solo ai pazienti di Ramachandran, ma anche ai nevrotici.
I Lapsus
Anche quando il ricordo sembra perfettamente cosciente
non corrisponde mai a ciò che è veramente successo, perché è influenzato da
variabili emotive. Lo dimostra l'esperimento del foulard di Edouard Claparède,
psicologo svizzero che all'inizio del '900 fece interrompere una lezione per 20
secondi da un disturbatore con un foulard bianco e marrone. Foulard che nelle
descrizioni dei testimoni divenne rosso, come "deve" essere un foulard
rivoluzionario. L'inconscio gioca scherzi anche con lapsus e atti mancati nei
quali, senza volerlo, diciamo o facciamo ciò che volevamo nascondere. «Un mio
paziente perdeva sempre la carta d'identità nei periodi di crisi» dice Vittorio
Lingiardi, psichiatra e psicanalista. Un altro, che in seduta non riusciva a
raccontare di sé, dimenticava da me l'agenda o le chiavi di casa, come a dire
che una parte di lui era disponibile a farsi conoscere". Tutte "verità" che
superano il controllo della coscienza.
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