è uno degli studiosi che maggiormente hanno influenzato le più moderne teorie
sull’apprendimento di una lingua.
Classe
1941, Ph.D. in Linguistics a UCLA, Krashen è attualmente titolare della
cattedra di Education presso la University of Southern California.
Tra
i suoi numerosi libri ricordiamo Principles
and Practice in Second Language Acquisition, del 1981, The Natural
Approach: Language Acquisition in the Classroom, del 1983 (con T. Terrell).
In italiano troviamo H. Dulay, M. Burt, S. Krashen, La seconda lingua,
Il Mulino 1985.
Krashen
è famoso soprattutto per le sue cinque ipotesi:
1.
Distinzione
tra acquisizione e
apprendimento.
Krashen distingue due processi fondamentali attraverso cui si impara una
lingua: l’acquisizione,
un processo inconscio, e l’apprendimento,
un processo conscio rivolto alla forma linguistica. L’acquisizione
per Krashen è profonda, stabile, e genera comprensione e produzione linguistica
con processi automatici mentre l’apprendimento,
razionale e volontario, è di durata relativamente breve e funge da monitor per
l’esecuzione linguistica. Riguardo alla possibilità se l’apprendimento
razionale possa trasformarsi in acquisizione, la risposta di Krashen è di
solito negativa.
2.
Ipotesi
del monitor. Il monitor è quella parte del
sistema interno dell’apprendente responsabile dell’elaborazione linguistica
consapevole. Il monitor varia a seconda dell’età, dello stile cognitivo e delle
modalità di apprendimento della L2.
3.
Ipotesi
dell’ordine naturale. Le regole (grammaticali) della L2
vengono acquisite attraverso un ordine naturale. Per Krashen l’ordine vale
quando le regole sono acquisite, ossia imparate inconsciamente, poiché se esse
sono apprese, quindi applicate consapevolmente, è possibile che gli apprendenti
non seguano l’ordine naturale.
4.
Ipotesi
dell’input. Secondo Krashen l’unico modo per
far progredire l’acquisizione consiste nell’esposizione all’input. Aggiunge
inoltre che le persone acquisiscono una lingua straniera solo se ricevono un
input comprensibile e i loro filtri affettivi sono sufficientemente bassi da
permettere l’ingresso dell’input stesso. L’input cioè deve situarsi nella
corretta posizione lungo l’asse dell’ordine naturale di acquisizione,
cioè immediatamente dopo l’input che fino a quel momento è stato acquisito. Da qui la nozione di i + 1,
che sarebbe il livello dell’input a cui uno studente dovrebbe essere sottoposto
per procurargli acquisizione: il livello (i) a cui si trova lo studente + 1.
5.
Ipotesi
del filtro affettivo. Con questa ipotesi Krashen spiega
perché gli apprendenti esposti a una stessa quantità di input comprensibile,
abbiano tempi e esiti di apprendimento diversi. Per Krashen non tutto l’input
viene utilizzato; una parte viene tagliata da un filtro che si alza e si
abbassa in base a fattori affettivi quali il desiderio di integrarsi nella
nuova cultura, l’ansia, l’autostima, ecc…
Krashen
ha avuto il grande merito di dire delle cose interessanti in modo chiaro e
semplice, di creare degli slogan,
dei principi utili a tutti gli insegnanti da tenere a mente e con cui
confrontare la nostra azione quotidiana, dei “segnaposto” teorici della
didassi.
Ma
forse queste teorie e ipotesi diventano ancora più interessanti come punti di
partenza, come prospettive da falsificare, da superare. Lo faremo in un (o più
di uno) altro articolo, per ora cito il Prof. Balboni, e una sua nota riguardo
alla teoria dell’input (comprensibile) pubblicata in un articolo di In.It del Giugno 2002:
E’
significativo il fatto che la Second Language Acquisition Theory di Krashen sia
nata per l’inglese come L2 ma poi sia stata dallo stesso autore proposta, senza
alcuna modifica, per la lingua straniera.
Le due cose sono invece molto diverse, anche se esistono delle situazioni in cui si presentano contemporaneamente: basti pensare alle scuole italiane nel mondo, in cui i primi anni sono di italiano LS mentre lentamente, essendo gli studenti immersi per gran parte della giornata in una scuola con materiali didattici in italiano, si muove verso la L2.
La differenza è sostanziale:
Le due cose sono invece molto diverse, anche se esistono delle situazioni in cui si presentano contemporaneamente: basti pensare alle scuole italiane nel mondo, in cui i primi anni sono di italiano LS mentre lentamente, essendo gli studenti immersi per gran parte della giornata in una scuola con materiali didattici in italiano, si muove verso la L2.
La differenza è sostanziale:
- nell’italiano LS l’insegnante è l’unica fonte di input, quindi può graduare i materiali, può accettare esecuzioni imperfette sapendo che le correggerà in futuro, può decidere il programma che vuole seguire;
- nell’italiano L2 l’input avviene essenzialmente all’esterno delle ore di italiano, non ha alcuna forma di graduazione e di selezione, ogni errore può essere corretto da altri insegnanti o da altri parlanti nativi con i quali gli studenti si trovano ad interagire, il concetto di programma si fa labile: se gli studenti hanno bisogno di capire l’opposizione tra imperfetto e perfetto oggi, in questo momento, e lo chiedono perché altrimenti non capiscono i film o le lezioni di storia, è inutile attendere l’unità didattica dedicata al passato, bisogna parlarne subito.
L’insegnante
di italiano LS è un allenatore che imposta la partita come vuole lui, tanto i
giocatori in campo sono tutti suoi, la partita è in realtà un allenamento
interno in preparazione del grande match; l’insegnante di italiano L2 gioca
invece una partita vera, i suoi giocatori sono in campo e si avvicinano alla
panchina dell’allenatore per chiedere cosa devono fare in quella data
situazione, visto che non hanno capito bene come gioca l’altra squadra, quella
dei parlanti nativi italiani.
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