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domenica 3 giugno 2012

Storia dei pazienti dal cervello diviso






A partire dagli anni sessanta, gli scienziati hanno studiato intensamente un piccolo gruppo di pazienti sottoposti a un intervento radicale di neurochirurgia. Queste persone hanno dato molto alle neuroscienze – ma fra poco non ci saranno più.

Nei primi mesi dopo l’intervento, fare la spesa era una cosa da perdere le staffe. In piedi davanti al bancone del supermercato, Vicki vedeva un articolo sullo scaffale e sapeva di volerlo mettere nel carrello – ma non ci riusciva. «Allungavo la destra verso la cosa che volevo, ma poi arrivava la sinistra e diventava una specie di bisticcio», racconta. «Parevano due magneti che si respingono.» Fare la spesa settimanale significava due e anche tre ore di sofferenza. Anche vestirsi era una sfida: non riusciva a tenere insieme quello che voleva mettersi e quello che facevano le sue mani. A volte finiva per trovarsi addosso tre completi diversi. «Mi toccava buttare tutto sul letto, fare un gran respiro e ricominciare da capo.»

Per un aspetto essenziale, però Vicki stava meglio di prima dell’intervento. Non aveva più attacchi epilettici, che prima erano così forti da renderle la vita quasi insopportabile. Una volta si era accasciata sul piano di un vecchio forno, e le bruciature le avevano lasciato profonde cicatrici sulla schiena. «Davvero non riuscivo a funzionare», dice. Quando, nel 1978, il suo neurologo le parlò di un intervento di neurochirurgia, radicale ma pieno di rischi, che avrebbe potuto esserle d’aiuto, ebbe pochissime esitazioni. Se le cose avessero dovuto volgere al peggio, sapeva che di sua figlia piccola si sarebbero presi cura i suoi genitori. «Però ovviamente ero preoccupata», dice. «Quando ti fai dividere il cervello in due, non è che poi si rimette insieme.»

Il tessuto calloso del cervello sano (bianco brillante nell’immagine in alto) si ritrae dopo la callosotomia, lasciando solo il ventricolo (nero)
Nel giugno del 1979, in un’operazione durata quasi 10 ore, i medici crearono una sorta di «tagliafuoco», come si fa contro gli incendi, per contenere gli attacchi di Vicki, tagliando il suo corpo calloso, il fascio di fibre neurali che collega i due lati del cervello.

Questo drastico intervento, chiamato callosotomia, stacca i collegamenti tra i due lati della neocorteccia, la sede del linguaggio, del pensiero cosciente e del controllo dei movimenti. Le difficoltà di Vicki nel supermercato erano dovute a un cervello che si comportava, per certi aspetti, come se in esso ci fossero due menti separate.

Dopo circa un anno, le difficoltà di Vicki diminuirono. Per la maggior parte, era tornata se stessa: affettava verdure, si allacciava le scarpe, giocava a carte, faceva addirittura sci d’acqua. Quel che Vicki però non poteva sapere era che l’intervento che aveva subito avrebbe fatto di lei un’involontaria superstar delle neuroscienze. La donna fa parte infatti di un gruppo di meno di una dozzina di pazienti split brain, dal «cervello diviso», il cui cervello e il cui comportamento sono stati oggetto di innumerevoli ore di esperimenti, centinaia di lavori scientifici, e citazioni in praticamente tutti i testi di psicologia della scorsa generazione. Adesso però i loro ranghi si stanno assottigliando.

Una coppia di macchine separate
Grazie allo studio di questo gruppo, gli scienziati ora sanno che il cervello sano può somigliare a una coppia di macchine nettamente diverse, cablate fra loro e costantemente impegnate a scambiarsi torrenti di dati. Ma una volta tagliato il cavo primario, l’informazione – parole, oggetti, immagini – presentata a un emisfero viene ignorata dall’altro. Michael Gazzaniga, studioso dei processi cognitivi all’Università della California a Santa Barbara, e «grande vecchio» della moderna ricerca sui cervelli divisi, dice che, anche dopo mezzo secolo di lavoro con questi pazienti, ancora prova un brivido quando osserva gli effetti dell’interruzione del collegamento. «Ti trovi con un paziente dal cervello diviso che fa una delle solite cose – gli fai vedere un’immagine e lui non sa dire di che si tratta. Però riesce a pescare proprio quell’oggetto da una sacca piena di cose», dice Gazzaniga. «Il cuore ti balza in gola!»
L’idea di una dicotomia della coscienza ha colpito il grande pubblico, ed è stata fortemente esagerata nella nozione di «cervello destro creativo»
Il lavoro con questi pazienti ha evidenziato le differenze tra i due emisferi, rivelando per esempio che in genere l’emisfero sinistro ha il ruolo guida per l’elaborazione della parola e del linguaggio, mentre quello destro è specializzato nel trattamento dello spazio e nel riconoscimento dei visi. «Questo lavoro ci ha fatto vedere che tutti e due gli emisferi sono assai competenti nella maggior parte delle cose, ma ci presentano due istantanee assai diverse del mondo», dice Richard Ivry, direttore dell’Institute of Cognitive and Brain Sciences dell’Università della California a Berkeley. L’idea di una dicotomia della coscienza ha colpito il grande pubblico, ed è stata fortemente esagerata nella nozione di «cervello destro creativo».

Ma le ulteriori ricerche condotte sui pazienti con il cervello diviso hanno dato un quadro più ricco di sfumature. Il cervello non è fatto come un computer, con sezioni specifiche dell’hardware incaricate dell’esecuzione di certi compiti. È più simile a una rete di computer connessi da enormi e attivissimi cavi a banda larga. La connettività tra le regioni attive del cervello si sta rivelando altrettanto importante, se non di più, delle operazioni svolte dalle sue singole parti. «Nei pazienti dal cervello diviso, si vede l’impatto che può avere lo scollegamento di un’enorme porzione della rete, senza che siano danneggiati i singoli moduli specifici», dice Michael Miller, psicologo dell’Università della California a Santa Barbara.

David Roberts, primario di neurochirurgia al Dartmouth-Hitchcock Medical Center di Lebanon, New Hampshire, che ha operato alcuni dei pazienti di questo gruppo e lavorato in stretta collaborazione con Gazzaniga, trae un’importante lezione dalle ricerche su questo tema. «Nelle facoltà di medicina, e nella scienza in generale, si sottolinea moltissimo l’importanza dei grandi numeri, degli esami di laboratorio, della diagnostica e della significatività statistica», dice Roberts – tutte cose cruciali quando si tratta, diciamo, di valutare un nuovo farmaco. Ma il gruppo dei pazienti split brain gli ha fatto prendere coscienza di quante cose si possono capire a partire da un caso singolo. «Ho imparato, alla fine, che un singolo individuo, studiato bene e riflettendoci sopra, può consentirci di trarre conclusioni che si applicano a tutta la specie umana», dice.

Le tecniche di imaging cerebrale oggi sono divenute il modo più usato per osservare le funzioni cerebrali, rendendo superfluo, secondo molti ricercatori, lo studio dei pazienti split brain. Ma non tutti sono d'accordo.
Oggi, i pazienti dal cervello diviso sono sempre più avanti negli anni; qualcuno è morto, uno ha avuto un colpo apoplettico, e in generale l’età li ha resi meno capaci di sopportare lunghe e impegnative sessioni di osservazione e concentrazione. L’intervento, già molto raro, è stato soppiantato da farmaci e procedure chirurgiche meno drastiche. Nel frattempo, le tecnologie di visualizzazione dell’attività cerebrale sono divenute il modo più usato per osservare le funzioni cerebrali, dato che gli scienziati possono semplicemente osservare quali aree sono attive durante l’esecuzione di un compito.

Per Miller, Ivry e Gazzaniga, però, i pazienti dal cervello diviso in due restano una risorsa inestimabile. Le tecniche di visualizzazione possono confermare, per esempio, che il lato sinistro del cervello è più attivo di quello destro nell’elaborazione del linguaggio. Ma questo trova un’illustrazione plastica nei pazienti split brain, che possono non essere in grado di leggere ad alta voce una parola come «padella» quando la si presenta all’emisfero destro, ma sono in grado di indicarne esattamente il disegno. «Questo ci da il senso di una capacità di lettura dell’emisfero destro, che però non può accedere al sistema motorio per produrre il parlato», dice Ivry. «La visualizzazione dell’attività cerebrale è utilissima per dirci dove succede una cosa», aggiunge, «ma il lavoro con i pazienti può dirci come succede».

Un cavo tagliato
La resezione del corpo calloso è stata usata come trattamento per le forme più gravi di epilessia a partire dagli anni quaranta, su un gruppo di 26 pazienti a Rochester, New York. L’obiettivo era tenere confinata la tempesta elettrica dell’attacco epilettico a uno solo dei due lati del cervello. All’inizio, non sembrò funzionare. Nel 1962, però, un paziente esibì un miglioramento significativo. Anche se non è mai diventato la strategia terapeutica preferita – è invasivo e rischioso, e in molti pazienti i sintomi possono essere attenuati con farmaci – l’intervento è comunque considerato una tecnica di ultima istanza per i casi  intrattabili di epilessia.
I ricercatori che avevano studiato i primi pazienti split brain avevano concluso che la separazione non influiva sul pensiero o sul comportamento
Per Roger Sperry, che allora era un neurobiologo e neuropsichiatria al California Institute of Technology, e Gazzaniga, graduate student del suo laboratorio, i pazienti dal cervello diviso offrivano un’opportunità senza pari per esplorare la lateralizzazione del cervello umano. A quei tempi, erano divise anche le opinioni sull’argomento. I ricercatori che avevano studiato i primi pazienti split brain negli anni quaranta avevano concluso che la separazione non influiva in modo osservabile sul pensiero o sul comportamento. (Gazzaniga e altri sospettano che queste prime resezioni fossero incomplete, cosa che potrebbe spiegare anche l’assenza di effetti positivi sugli attacchi epilettici). Di contro, gli studi condotti da Sperry e colleghi negli anni cinquanta mostravano forti alterazioni delle funzioni cerebrali negli animali cui era stata praticata la resezione del corpo calloso. Per Sperry e Gazzaniga questa discrepanza divenne un’ossessione, e i pazienti dal cervello diviso sembrarono loro un modo di cercare risposte.

Il loro primo paziente fu un uomo indicato come W.J., un ex-paracadutista della seconda guerra mondiale i cui attacchi epilettici erano cominciati dopo che un soldato tedesco lo aveva colpito alla testa con il calcio del fucile. Nel 1962, dopo l’operazione, Gazzaniga condusse un esperimento in cui chiedeva a da W.J. di premere un pulsante ogni volta che vedeva un’immagine. I ricercatori presentavano poi delle immagini brevissime di lettere dell’alfabeto, lampi di luce e altri stimoli o nella parte sinistra o nella parte destra del suo campo visivo. Dato che l’elaborazione del campo visivo sinistro avviene nell’emisfero destro, e viceversa, presentando brevissime immagini all’uno o all’altro dei due lati si trasmettono le informazioni solo all’emisfero voluto.

Con gli stimoli presentati all’emisfero sinistro, W.J. non mostrava nessuna stranezza; premeva semplicemente il pulsante e diceva agli scienziati quel che vedeva. Con l’emisfero destro, W.J. diceva di non vedere nulla, ma la sua mano sinistra premeva regolarmente il pulsante ogni volta che compariva un’immagine. «Né la destra né la sinistra sapevano quel che stava facendo l’altra parte», dice Gazzaniga. Fu una scoperta che sconvolse tutti i paradigmi, mostrando che il cervello è diviso più a fondo di quanto mai nessuno avesse previsto.

Di colpo, si scatenò la corsa ad approfondire il mondo delle funzioni lateralizzate. Ma trovare altri pazienti da studiare si rivelò difficile. Gazzaniga stima che i pazienti su cui è stata praticata la callosotomia siano almeno 100, e forse parecchi di più. Ma le persone candidate all’operazione tendono ad avere anche altri significativi problemi di sviluppo o cognitivi; quelli in cui il taglio è stato perfettamente preciso e che sono abbastanza sani, in termini neurologici, da poter essere utili ai ricercatori, sono in numero limitato. Per un certo tempo, Sperry, Gazzaniga e colleghi si chiesero se ci sarebbe stato mai qualcuno come W.J. Ma dopo aver preso contatto con molti neurochirurghi, preso accordi con centri di trattamento dell’epilessia e valutato molti potenziali pazienti, furono infine in grado di identificare qualche persona adatta in California, e poi un gruppo nella zona orientale degli Stati Uniti, di cui fa parte Vicki.

Prime scoperte
Gazzaniga può passare in rassegna i nomi dei suoi «pazienti dalla pazienza infinita» con la facilità di un nonno che recita orgogliosamente i nomi dei nipotini – W.J., A.A., R.Y., L.B., N.G. Per motivi di riservatezza, sono noti nella letteratura scientifica solo con le iniziali. (Vicki ha acconsentito a essere identificata in questo articolo, purché non fossero pubblicati il suo cognome e il suo luogo di residenza.)

Nel maggio scorso, intervenendo al convegno annuale della Society of Neurological Surgeons, a Portland, Oregon, Gazzaniga ha mostrato spezzoni sgranati di un esperimento condotto nel 1976 con il paziente P.S., che al tempo aveva appena 13 o 14 anni. Gli scienziati volevano vedere come rispondeva alle parole scritte presentate solo al suo emisfero destro.

Nel video viene chiesto al ragazzo qual è la sua ragazza preferita, ma la parola «ragazza» si accende brevemente solo per il suo emisfero destro. Come previsto, il ragazzo non riesce a rispondere verbalmente. Si stringe nelle spalle e scuote la testa, indicando che non vede alcuna parola. Ma poi fa una risatina. È una di quelle risatine con cui le persone si tradiscono, la colonna sonora di quando ci si fa rossi in viso. Il suo emisfero destro il messaggio lo ha visto, ma quello verbale, il sinistro, ne rimane inconsapevole.

Poi, con la mano sinistra, lentamente, il ragazzo sceglie tre tessere dello Scarabeo dall’assortimento davanti a lui. E le allinea a formare L-I-Z; il nome, siamo certi di non sbagliare, della più carina della classe! «Questo ci ha detto che riusciva a comprendere il linguaggio verbale con l’emisfero destro», mi ha detto in seguito Gazzaniga. «È stato uno dei primi casi che confermavano che la capacità di linguaggio può anche essere bilaterale – era in grado di rispondere a delle domande mediante il linguaggio con tutti e due i lati.»

Le implicazioni di queste prime osservazioni, dice Miller, sono state «enormi». Mostravano infatti che «l’emisfero destro sta vivendo la sua propria esperienza dell’aspetto del mondo, che non può più esprimere se non attraverso i gesti e il controllo della mano sinistra». Qualche anno dopo i ricercatori scoprirono che anche Vicki aveva delle capacità verbali nell’emisfero destro. La callosotomia totale staccava sempre i collegamenti, ma agiva anche in modi assai diversi da una persona all’altra.

Un interprete nel cervello
Nel 1981, Sperry ottenne il premio Nobel per la medicina per le sue scoperte sul cervello diviso («Lo meritava», dice Gazzaniga.) Sperry è morto nel 1994, ma a quel punto la guida del gruppo era passata a Gazzaniga. Il nuovo secolo vide impegnati lui e gli altri studiosi del cervello diviso su un altro mistero: malgrado gli spettacolari effetti della callosotomia, W.J. e i successivi pazienti non hanno mai riferito di sentirsi men che interi. Come ha scritto più volte Gazzaniga: gli emisferi non sentono l’uno la mancanza dell’altro.

Gazzaniga ha sviluppato quella che chiama "teoria dell’interprete" per spiegare come mai le persone – compresi i pazienti split brain – hanno un senso unitario del sé e della vita mentale. L’ha elaborata a partire da compiti in cui si chiedeva a un paziente dal cervello diviso di spiegare a parole, il che richiede l’emisfero sinistro, un’azione che era stata richiesta ed eseguita unicamente da quello destro. «L’emisfero sinistro inventava una risposta a posteriori che fosse adatta alla situazione.» In uno dei suoi esempi preferiti, accendeva brevemente la parola «sorriso» per l’emisfero destro di un paziente, e la parola «faccia» per il sinistro, per poi chiedere al paziente di disegnare ciò che aveva visto. «La sua mano destra disegnò una faccia sorridente», ricorda Gazzaniga. «“Perché l’hai fatta così?” ho chiesto. E lui: “Cosa vuole, una faccia triste? A chi piacciono le facce tristi?”» L’interprete del cervello sinistro, dice Gazzaniga, è quello che tutti usano per cercare di spiegarsi ciò che accade, filtrare l’assalto delle informazioni in entrata e costruire narrazioni che aiutano a dar senso al mondo.

Gli studi sui cervelli divisi costituiscono «un patrimonio di studi incredibile», commenta Robert Breeze, neurochirurgo dell’Ospedale dell’Università del Colorado ad Aurora, dopo aver seguito la lezione di Gazzaniga l’anno scorso. Ma, come per molti altri esperti del campo, a suo avviso la ricerca sui cervelli divisi è ormai superata. «Oggi abbiamo tecnologie che ci consentono di vedere queste cose» – strumenti di visualizzazione come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che mostrano i siti delle funzioni cerebrali in grande dettaglio. Miller però dissente. «I pazienti di questo tipo possono dirci cose che la fMRI non potrà dirci mai», dichiara.

Connessioni profonde
Altri ricercatori stanno studiando il ruolo delle comunicazioni sub-corticali (attività studiate da Paul MacLean nei 3 cervelli cervello antico medio e nuovo) nel coordinamento dei movimenti delle due mani. I pazienti con cervello diviso non hanno grandi difficoltà nell’eseguire compiti che richiedono due mani. Nel 2000, un gruppo diretto da Liz Franz all’Università di Otago, in Nuova Zelanda, ha chiesto a dei pazienti dal cervello diviso di eseguire dei compiti che richiedono due mani, alcuni a loro familiari e altri nuovi. Hanno trovato che un paziente, esperto pescatore, riusciva a mimare l’atto di legare la lenza ma non quello, poco familiare, di infilare il filo nella cruna di un ago. La Franz ha concluso che le abilità «bimanuali» praticate a lungo sono coordinate a livello subcorticale, e quindi le persone dal cervello diviso sono in grado di coordinare senza intralci le due mani.

Miller e Gazzaniga hanno anche cominciato a indagare il ruolo dell’emisfero destro nel ragionamento morale. Si tratta di una di quelle funzioni di alto livello di cui l’emisfero sinistro era considerato il monarca assoluto. Negli ultimi anni, però, le indagini di visualizzazione dell’attività cerebrale hanno mostrato che l’emisfero destro è profondamente coinvolto nel trattamento delle emozioni, intenzioni e credenze degli altri – cioè in quella che molti scienziati hanno preso a chiamare «teoria della mente». Per Miller, questo campo di ricerca illustra perfettamente il valore degli studi sui cervelli divisi, perché gli strumenti di visualizzazione, da soli, non arrivano a darci le risposte.

Un'etica a metà
In un lavoro iniziato nel 2009, i ricercatori hanno presentato a due pazienti dal cervello diviso una serie di storie, in ciascuna delle quali si parlava di danni provocati accidentalmente o intenzionalmente. L’obiettivo era capire se, secondo quei pazienti, una persona che intende avvelenare il suo capo, ma non ci riesce perché scambia lo zucchero per veleno per topi, è o no allo stesso livello morale di uno che uccide accidentalmente il suo capo avendo scambiato il veleno per topi per zucchero. (La maggior parte della gente conclude che il primo è moralmente più reprensibile.) I ricercatori leggevano le storie ad alta voce, il che vuol dire che a riceverle era l’emisfero sinistro, e chiedevano risposte verbali, in modo che fosse ancora l’emisfero sinistro, guidato dal meccanismo interprete, a elaborare ed esprimere la risposta.

Riuscivano i pazienti split brain a dare il convenzionale giudizio morale usando solo questo lato del cervello? No. Secondo il loro ragionamento, i due scenari erano moralmente equivalenti. Il risultato fa pensare che per questo tipo di ragionamenti siano necessari tutti e due i lati della corteccia.

Questo però presenta un altro enigma, perché amici e parenti dei pazienti dal cervello diviso non notano in loro modi di ragionare insoliti o insufficienze nella teoria della mente. Il gruppo di Miller suppone che nella vita quotidiana altri meccanismi di ragionamento potrebbero compensare gli effetti della sconnessione che si evidenziano in laboratorio. E ha in programma di verificare l’idea.

Michael Gazzaniga nel suo laboratorio. Il neuroscienziato ha lavorato per mezzo secolo con i pazienti split brain
Mentre si assottigliano le opportunità di far ricerca sui cervelli divisi, Gazzaniga è occupatissimo a cercare di convertire in formato digitale l’archivio delle registrazioni delle prove condotte con i membri di questo gruppo, alcune delle quali risalgono a più di 50 anni fa. «Vedevamo un sacco di cose stupefacenti, e anche altri dovrebbero averne la possibilità grazie a questi video.» Forse, aggiunge, altri ricercatori potranno addirittura scoprire qualcosa di nuovo.

Altri pazienti dal cervello diviso potrebbero rendersi disponibili – ce n’è un piccolo gruppo in Italia, per esempio; ma con la concorrenza delle ricerche basate su tecniche di visualizzazione e tante delle maggiori scoperte ormai alle sue spalle, Gazzaniga ammette che i giorni di gloria di questo campo di indagine sono probabilmente al tramonto. «In termini di pazienti sottoposti alle prove, sta finendo.» Però aggiunge: «Faccio fatica a dire che è finita».

E forse non lo è – fino a che ci sono scienziati che si spingono ad affrontare nuove domande sulle funzioni lateralizzate del cervello, la sua connettività e le sue comunicazioni, e fino a quando Vicki e i suoi compagni saranno in giro e disposti a partecipare alla scienza. In realtà, in tutti quest anni, dice Vicki, il suo coinvolgimento non è mai stato una cosa che faceva per sé. «Si è sempre trattato di ottenere informazioni che potessero aiutare gli altri.»


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