Una molteplicità di intelligenze
Il famoso
Psicologo americano Howard Gardner fu, a suo
tempo, sorpreso dall'enorme successo di pubblico riscosso dal libro The Bell Curve, scritto dal compianto psicologo
della Harvard University Richard J. Herrnstein e dal politologo Charles Murray.
La maggior parte delle idee espresse nel libro era nota non solo agli esperti
di scienze sociali, ma anche al grande pubblico e, del resto, lo
psicopedagogista Arthur R. Jensen dell'Università della California a Berkeley e
lo stesso Herrnstein avevano prodotto scritti divulgativi sugli stessi
argomenti alla fine degli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta.
Forse, dovette dire, ogni quarto di secolo una nuova generazione di americani
desidera sentirsi raccontare "l'ortodossia
psicologica" a proposito dell'intelligenza, e cioè che esiste
un'unica intelligenza generale, spesso chiamata g, che si rispecchia in un quoziente di intelligenza individuale o QI.
Questo modo
di vedere è in contrasto con quello che si è sviluppato negli ultimi decenni e
cioè che l'intelligenza umana abbraccia un insieme di competenze molto più
ampio e universale. Fino a oggi si è arrivati a contare otto tipi di
intelligenza, ma potrebbero essercene di più. Tra di essi si trovano sia quelle
abilità che sono tradizionalmente considerate intelligenze, come le abilità
linguistiche e logico-matematiche, sia altre capacità, come quelle musicali e spaziali, che vengono di solito
considerate diversamente. Questi tipi di intelligenza possono costituire la
base su cui fondare metodologie didattiche più efficaci.
Definire la potenza cerebrale
La teoria
ortodossa di una sola intelligenza - che, sia
pur errata, è oggi ampiamente accettata e diffusa - nacque
negli anni venti per opera di alcuni ricercatori che ne misero a punto i
concetti fondamentali. La teoria afferma che gli individui nascono con una
certa intelligenza o intelligenza potenziale, che questa intelligenza è
difficile da modificare e che gli psicologi possono stabilire il QI di un
individuo attraverso prove a risposta breve e, forse, attraverso altre misure
più «pure», come il tempo necessario a reagire a una successione di impulsi
luminosi o la presenza di una particolare combinazione di onde cerebrali.
L'idea era
appena stata proposta che subito iniziarono le critiche. Dal mondo esterno alla
psicologia, commentatori come il giornalista Walter Lippmann misero sotto
accusa i criteri usati per misurare l'intelligenza, sostenendo che quest'ultima
è più complessa e flessibile di quanto ipotizzato dagli psicometristi.
All'interno della psicologia, gli studiosi contestarono la nozione di un'unica
intelligenza sovraordinata, opponendovi, sulla base delle loro analisi, quella
di intelligenza come insieme di parecchi fattori. Negli
anni trenta, Louis L. Thurstone dell'Università di Chicago sostenne che
aveva più senso pensare a sette «vettori della mente»
ampiamente indipendenti. Negli anni sessanta,
Joy P. Guilford, della University of Southern California, elencò 120 fattori,
portati poi a 150. Godfrey Thomson, dell'Università di Edimburgo, negli anni
quaranta parlò di un gran numero di facoltà debolmente collegate tra loro. Ai
giorni nostri Robert J. Sternberg, della Yale
University, ha proposto una teoria triarchica dell'intelligenza, i cui
componenti sarebbero la tradizionale abilità di
calcolo, la sensibilità ai fattori
contestuali e la reattività al nuovo.
Sorprendentemente, sia i commentatori favorevoli sia i detrattori
dell'idea di una singola intelligenza condividono una convinzione: che la
natura dell'intelligenza sia da determinare attraverso i test e l'analisi dei
dati così raccolti. Forse, secondo i difensori dell'ortodossia come Herrnstein
e Murray, i risultati ottenuti in una grande varietà di test porteranno a
individuare un forte fattore generale dell'intelligenza; in effetti, i dati
sono a favore di tale convergenza positiva,
ossia di un'alta correlazione tra i test. Forse, ribattono i pluralisti come
Thurstone e Sternberg, il giusto insieme di test dimostrerà che la mente è
formata da un certo numero di fattori relativamente indipendenti e che
l'abilità in una certa area non è predittiva dell'abilità in un'altra.
Ma dove sta scritto che l'intelligenza deve
essere determinata sulla base di test?
Si era incapaci di dare giudizi sull'intelligenza prima che Sir Francis Galton
e Alfred Binet, un secolo fa, formulassero il primo insieme di quesiti
psicometrici! Se le decine di test per il QI in uso nel mondo dovessero
improvvisamente scomparire, non si sarebbe più in grado di valutare
l'intelligenza!
Contro l'ortodossia
Circa
vent'anni fa Howard Gardner si pose questi
fondamentali quesiti e intraprese un cammino diverso nell'indagine
dell'intelligenza. Stava conducendo una ricerca principalmente su due gruppi: bambini
dotati in una o più forme di arte e adulti
colpiti da ictus che avevano compromesso capacità specifiche, lasciandone
intatte altre. Vedeva ogni giorno soggetti con profili intellettivi
molto diversificati, ed era impressionato dal fatto che, nella varietà del
genere umano, un punto di forza o un deficit potessero tranquillamente
coesistere con particolari profili di abilità e disabilità.
In base a
tali dati arrivò a un punto fermo: è più giusto pensare che gli esseri umani
possiedano un certo numero di facoltà relativamente indipendenti piuttosto che
una certa quantità di potenza intellettuale, o QI, che possa essere
semplicemente incanalata in questa o in quella direzione. Decise di cercare una
definizione migliore di intelligenza umana
e arrivò a definirla come "un potenziale
psicobiologico per risolvere problemi o per dar forma a prodotti che abbiano
valore in almeno un contesto culturale". Ponendo l'accento
sulla costruzione di prodotti e di valori culturali, si allontanò così
dall'impostazione tipica della psicometria, come quella adottata da Herrnstein,
da Murray e dai loro predecessori.
Per passare
dall'intuizione a una definizione di un insieme di intelligenze elaborò criteri
che ciascuna delle presunte intelligenze deve soddisfare.
I criteri sono stati ricavati da diverse fonti:
Psicologia: l'esistenza di un percorso di sviluppo di
una capacità che gli individui, siano essi normali o dotati, seguono
dall'infanzia all'età adulta; l'esistenza (o la mancanza) di correlazioni tra
certe capacità.
Casistica di apprendimento:
l'osservazione di esseri umani non comuni, come bambini prodigio, geni, o di
chi ha problemi di apprendimento.
Antropologia: la
registrazione di come nelle diverse culture si sviluppino, vengano ignorate o
apprezzate diverse abilità.
Studi culturali: l'esistenza di
sistemi di simboli che codificano certi tipi di significato, per esempio il
linguaggio, l'aritmetica, le mappe.
Scienze biologiche: prove che una capacità abbia una
sua storia evolutiva e sia rappresentata in certe strutture neuronali.
Per esempio, varie aree dell'emisfero
sinistro sono responsabili del controllo motorio del corpo, del calcolo e
dell'abilità linguistica; l'emisfero
destro ospita le capacità spaziali e musicali, compresa la discriminazione
dell'altezza di un suono.
Le
otto intelligenze
Armato di
questi criteri, Gardner prese in considerazione
svariate capacità, da quelle basate sui sensi a quelle che coinvolgono attività
di progettazione, l'umore e persino la sessualità. Quando un'abilità rispondeva
a tutti o alla maggior parte dei criteri diventava plausibile come
intelligenza. Nel 1983 arrivò alla conclusione
che sette abilità soddisfacevano abbastanza bene ai criteri: quelle linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale,
cinestesica (come quella di atleti, danzatori e altre persone che
compiono esercizi fisici), interpersonale
(l'abilità di interpretare gli umori, le motivazioni e gli stati mentali degli
altri), e intrapersonale (l'abilità di
far emergere i propri sentimenti e di basarsi su di essi per indirizzare il
comportamento). Le ultime due si considerano di solito insieme e
stanno alla base dell'intelligenza emozionale.
In genere le misurazioni standard dell'intelligenza
sondano soprattutto l'intelligenza logica e
quella linguistica; alcune prendono in esame I'intelligenza spaziale.
Gli altri quattro tipi di intelligenza sono quasi
ignorati.
Nel 1995,
sulla base di nuovi dati che rispondevano ai criteri, si è introdotta un'ottava intelligenza, quella del naturalista, che permette il riconoscimento e la
categorizzazione di oggetti naturali. Ne sono esempi Charles Darwin, John James
Audubon e Rachel Carson. Attualmente si sta prendendo in considerazione la
possibilità di una nona intelligenza,
l'intelligenza esistenziale, che controlla la tendenza umana a
elevarsi e a riflettere sulle questioni fondamentali che riguardano
l'esistenza, la vita, la morte, la finitezza. Pensatori religiosi come il Dalai
Lama e filosofi come Soren A. Kierkegaard rappresentano questo tipo di abilità.
Il fatto che l'intelligenza esistenziale vada o meno ad aggiungersi alle altre
dipende da quante prove convincenti si accumuleranno sul suo fondamento
neuronale.
La teoria delle intelligenze multiple (o teoria
IM, come si comincia a chiamarla) comporta due asserzioni forti: per prima cosa, che tutti gli uomini possiedono
queste intelligenze; anzi, da un punto di vista cognitivo, esse si possono
considerare collettivamente una definizione di Homo sapiens; in secondo luogo, che siamo l'uno diverso dall'altro
e abbiamo personalità e temperamenti unici perché sono diversi i profili delle
intelligenze. Non esistono due individui, neppure gemelli o cloni, che abbiano
esattamente la stessa combinazione di profili, con le stesse potenzialità e
debolezze. Anche nel caso di una medesima eredità genetica, gli individui
compiono esperienze diverse e tendono a distinguere i loro profili.
In
psicologia la teoria delle intelligenze multiple ha suscitato un acceso
dibattito. Molti ricercatori si ribellano all'idea di abbandonare i test
tradizionali e di adottare un insieme di criteri insoliti e poco adatti a
essere trattati in termini quantitativi. Molti oppongono anche resistenza
all'uso della parola «intelligenza» per descrivere alcune abilità, preferendo
definire «talenti» l'intelligenza
musicale o cinestesica. Una definizione così ristretta, tuttavia, svaluta tali
capacità; ne risulta che i direttori d'orchestra o i
ballerini hanno talento ma non sono intelligenti. Per quanto può
interessare, si chiamino pure tali abilità talento, purché si definiscano allo
stesso modo anche il ragionamento logico e l'abilità linguistica.
Alcuni
hanno messo in dubbio che I'IM sia una teoria empirica. La critica non coglie
nel segno: la teoria di Gardner è totalmente
fondata su prove empiriche. Il numero delle intelligenze, la loro delineazione,
i loro sottocomponenti sono tutti suscettibili di modifiche alla luce di nuovi
risultati. L'esistenza dell'intelligenza
naturalistica poté essere asserita solo dopo che era stato
empiricamente provato che parti del lobo temporale sono preposte al
riconoscimento degli oggetti naturali, mentre altre sono dedicate agli oggetti
prodotti dall'uomo. (La dimostrazione del fondamento neuronale di tale
intelligenza viene in gran parte dalla letteratura clinica, che riporta casi di
individui i quali, in seguito a lesioni cerebrali, hanno perso la capacità di
identificare le cose viventi, mentre hanno mantenuto quella di denominare le
cose inanimate. Le ricerche sperimentali di Antonio R. Damasio dell'Università
dello Iowa, di Elizabeth Warrington del gruppo di ricerca sulla demenza del
National Hospital di Londra e di altri confermano il fenomeno.)
Molte prove
dell'esistenza di intelligenze individuali sono venute dalla ricerca, svolta
nello scorso decennio, sull'intelligenza emozionale
e sullo sviluppo di una «teoria della mente» nei bambini; ci si è resi conto
che gli esseri umani sono intenzionali e agiscono intenzionalmente.
L'interessante scoperta di Frances H. Rauscher dell'Università del Wisconsin a
Oshkosh e dei suoi colleghi dell'«effetto Mozart» (cioè che esperienze musicali
precoci possono sviluppare le capacità spaziali) fa crescere,
inoltre, la probabilità che
l'intelligenza spaziale e quella musicale si basino su abilità comuni.
Vale la
pena di notare che il passaggio all'idea di una molteplicità di intelligenze è
perfettamente coerente con le tendenze in atto in altre scienze. La neurologia riconosce la natura modulare del
cervello; la psicologia evolutiva si basa
sull'idea che capacità diverse si siano evolute in ambienti specifici con scopi
specifici e l'intelligenza artificiale si
occupa sempre più di sistemi esperti anziché di meccanismi generali di
risoluzione dei problemi. In ambito scientifico i sostenitori di un unico QI, o
intelligenza generale, tendono a essere sempre più isolati e a essere seguiti
solo da quanti, come Herrnstein e Murray, hanno un interesse ideologico da
difendere.
Se alcuni psicologi si sono mostrati
scettici, gli educatori di tutto il mondo hanno abbracciato la teoria delle
intelligenze multiple.
La teoria IM
non solo si accorda con la loro intuizione che i bambini sono intelligenti in
modi diversi, ma dà anche la possibilità di raggiungere in modo più efficace un
maggior numero di studenti tenendo conto degli stili di apprendimento preferiti
nei programmi, nell'insegnamento e nella valutazione. È sorta un'industria
virtuale per creare scuole, classi, programmi, testi, sistemi informatici IM.
La maggior parte di questo lavoro è ben indirizzata e si è dimostrata molto
efficace nel motivare gli studenti e nel creare un coinvolgimento intellettuale.
Ci sono
però stati fraintendimenti: per esempio, ritenere che ogni materia dovrebbe
essere insegnata in sette o otto modi diversi o che lo scopo della scuola sia
identificare le intelligenze degli studenti, magari somministrando loro otto
tipi diversi di nuovi test standard. Questo modo di pensare e di procedere, è
inopportuno.
La
conclusione è che la teoria IM vada considerata uno
strumento e non un obiettivo educativo. Gli educatori, insieme con
la comunità a cui appartengono, devono determinare gli obiettivi che vogliono
raggiungere. Una volta articolati tali
obiettivi, si può ricorrere alla teoria IM come a un potente supporto.
Io credo che la scuola debba impegnarsi a sviluppare individui di un certo
tipo: dotati di senso civico, sensibili alle arti, competenti nelle varie
discipline. Le scuole dovrebbero affrontare materie di importanza fondamentale
con sufficiente profondità in modo che gli studenti arrivino ad averne una
comprensione globale. I sistemi di progettazione dei programmi e di valutazione
basati sulla teoria IM, come il Progetto Spectrum alla Eliot-Pearson Preschool
della Tufts University, si sono rivelati uno strumento di notevole utilità per
aiutare la scuola a raggiungere tali obiettivi.
Il futuro dell'IM
Gli
esperti dibattono variamente sull'intelligenza da oltre un secolo, chiedendosi
anche se ce ne sia una o più di una, e solo un indovino particolarmente audace
potrebbe azzardare una previsione sulla scomparsa di questi dibattiti. (In
realtà, se il passato è destinato ciclicamente a ripetersi, nuovi Herrnstein e
Murray scriveranno il loro The Bell Curve attorno al 2020.) Gardner in qualità
di persona che viene più strettamente associata alla teoria delle intelligenze
multiple, esprime tre desideri per il lavoro futuro in questo campo.
I1 primo è quello di una teoria dell'intelligenza
più ampia, ma non all'infinito. E tempo che la nozione di intelligenza venga
ampliata fino a comprendere le capacità di calcolo, quelle relative alla
musica, alla comunicazione personale e alla capacità di decifrare il mondo
naturale. È importante, però, che non si
facciano confluire nell'intelligenza altre capacità come la creatività, la
saggezza o la moralità.
Gardner
sostiene anche che non si dovrebbe ampliare la nozione di intelligenza tanto da
farle oltrepassare il confine tra descrizione e prescrizione. La nozione di
intelligenza emozionale lo trova d'accordo quando si fa riferimento alla
capacità di tener conto di informazioni provenienti dalla propria o dall'altrui
vita emozionale. Si è d'accordo con Daniel Goleman,
psicologo e giornalista del «New York Times» quando, nel suo recente
best-seller Intelligenza emotiva, sottolinea
l'importanza dell'empatia come parte dell'intelligenza emozionale. Ma egli insiste
anche sul fatto che gli individui si prendano cura l'uno dell'altro. Il fatto
di possedere la capacità di rendersi conto delle sofferenze degli altri non è
sullo stesso piano del decidere di andar loro in aiuto. Un sadico, anzi,
potrebbe usare la sua conoscenza della psiche altrui per infliggere sofferenza.
I1 secondo
desiderio è che si passi dall'uso impersonale di strumenti standardizzati a
risposta breve a quello di dimostrazioni prese
dalla vita reale o di simulazioni virtuali. In certi periodi storici
è stato forse necessario valutare gli individui attraverso prove di scarso
interesse intrinseco (per esempio, ripetere una serie di numeri al contrario)
ma che si ritenevano correlate con abilità o attitudini importanti. Oggi, però,
con l'avvento del computer e delle tecnologie
virtuali è possibile osservare direttamente le prestazioni degli
individui per controllare la loro capacità di
argomentare, di discutere, di osservare dati, di criticare esperimenti, di
eseguire lavori artistici e così via. Si dovrebbero esercitare il
più possibile gli studenti direttamente in queste attività e stabilire come
arrivino a dare prestazioni di valore in condizioni realistiche. Non ci
dovrebbe più essere bisogno di ricorrere a strumenti posticci il cui legame con
la vita reale è, quando va bene, labile.
I1 terzo desiderio è che la teoria delle
intelligenze multiple venga usata per una pedagogia e per una valutazione più
efficaci. Si ha poca simpatia per tentativi educativi che si propongano
semplicemente di «allenare» le intelligenze o di usarle in modi banali. Le
potenzialità educative della teoria delle intelligenze multiple emergono quando
queste capacità sono usate per aiutare gli studenti a organizzare
consequenzialmente i materiali disciplinari.
Gardner spiega
come la cosa possa funzionare nel suo
libro A Well-Disciplined Mind. Si
sofferma su tre grandi argomenti: la teoria
dell'evoluzione (come esempio di verità scientifica), la musica di Mozart (come esempio di bellezza
artistica) e l'Olocausto (come esempio di
immoralità nella storia recente). Per ciascun caso, egli mostra come si possa
presentare l'argomento agli studenti partendo da una varietà di spunti che
rimandano a diverse intelligenze, come si possa rendere più familiare
l'argomento attraverso l'uso di analogie e metafore attinenti a diversi domini
e come si possano cogliere le idee centrali dell'argomento non usando un unico
linguaggio simbolico ma attraverso una pluralità di linguaggi o
rappresentazioni complementari.
Con questo
tipo di approccio, per esempio, il soggetto che comprende la teoria
dell'evoluzione può rappresentarsela in modi diversi: nei termini di una
narrazione storica, di un sillogismo logico, come valutazione quantitativa
dell'entità e della dispersione delle popolazioni in differenti nicchie, come
un diagramma della definizione delle specie, come partecipazione emotiva alla
lotta tra individui (o popolazioni o geni) e così via. Chi si rappresenta
l'evoluzione in un solo modo, usando un unico linguaggio modello, ha in realtà solo
una debole padronanza dei principali concetti della teoria.
Interrogarsi su chi sia intelligente è stato per un certo periodo
importante nella nostra società e diventerà probabilmente un quesito cruciale e
controverso in futuro. Per troppo tempo ci si è accontentati di lasciare
l'intelligenza nelle mani degli psicometristi. Spesso questi costruttori di
test hanno un'idea ristretta, troppo scolastica dell'Intelletto.
Si basano su un insieme di strumenti che valorizzano solo certe capacità e
trascurano quelle che non si prestano a una formulazione e verifica rapide. E
chi ha un obiettivo politico si avvicina spesso pericolosamente al territorio
dell'eugenetica.
La teoria
IM rappresenta un tentativo di dare all'idea di intelligenza una base
scientifica più ampia e offre agli educatori un insieme di strumenti che
permettano a un maggior numero di individui di padroneggiare in modo efficace
argomenti sostanziali. Se applicata in modo corretto, la teoria può anche
aiutare ciascuno a esplicare il proprio potenziale umano sul luogo di lavoro,
durante lo svago e al servizio del mondo.
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