DEFICIT
DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA'
Secondo
una nuova teoria, questo disturbo del comportamento può insorgere quando
importanti circuiti cerebrali non si sviluppano correttamente, forse a causa
della disfunzione di uno o più geni
Osservando
nella mia sala d'attesa Keith, un bambino di cinque anni, mi apparve chiaro
perché i suoi genitori dicessero che aveva tanti problemi alla scuola materna.
Prima si mise a saltare da una sedia all'altra, agitando freneticamente le
braccia e le gambe, poi iniziò ad armeggiare con gli interruttori, accendendo e
spegnendo le luci, con grande fastidio di tutti, e continuando a parlare senza
interruzione. Quando sua madre lo invitò a raggiungere un gruppo di altri
bambini che si trovavano nella stanza dei giochi, Keith si intromise in un
gioco in corso e ne assunse la guida, finché gli altri bambini, lamentandosi
perché voleva fare il capo, passarono ad altre attività. Anche quando aveva a
disposizione completa alcuni giochi, Keith li manipolava senza posa e sembrava
del tutto incapace di divertirsi tranquillamente. Dopo un esame più completo, i
miei sospetti iniziali trovarono conferma: Keith soffriva del disturbo legato a
un deficit di attenzione e a iperattività (attention deficit hyperactivity disorder o ADHD, una sigla usata
anche in Italia). A partire dagli anni quaranta, gli psichiatri hanno
utilizzato molti nomi diversi per definire i bambini caratterizzati da iperattività e da una
disattenzione e impulsività fuori della norma. Questi
soggetti sono stati considerati affetti da minima disfunzione cerebrale, da
sindrome infantile da lesione cerebrale, da reazione ipercinetica
dell'infanzia, da sindrome da iperattività infantile e, più recentemente, da
disturbo dell'attenzione. I frequenti cambiamenti nelle definizioni rispecchiano
l'incertezza dei ricercatori sulle cause del disturbo, e perfino su quali siano
esattamente i criteri diagnostici.
Ormai da diversi anni, però, i ricercatori
che si occupano di ADHD hanno iniziato a metterne in luce sintomi e cause, e
hanno trovato che il disturbo può avere una determinante genetica. Attualmente,
le teorie in proposito sono molto diverse da quelle che andavano per la
maggiore anche solo pochi anni fa. Stiamo chiarendo che I'ADHD non è un
disturbo dell'attenzione in sé, ma nasce da un difetto evolutivo nei circuiti
cerebrali che stanno alla base dell'inibizione e dell'autocontrollo. A sua
volta, questa mancanza di autocontrollo pregiudica altre importanti funzioni
cerebrali necessarie per il mantenimento dell'attenzione, tra cui la capacità
di posticipare le gratificazioni immediate in vista di un successivo e maggiore
vantaggio.
L'ADHD comporta due gruppi di sintomi: disattenzione e una
combinazione di comportamenti iperattivi e impulsivi. Normalmente, i bambini
sono più attivi, più facili alla distrazione e più impulsivi delle persone
adulte. E sono anche più incoerenti e influenzati dagli eventi passeggeri e da
tutto quanto li circonda. I bambini affetti da ADHD, tuttavia, manifestano
queste tendenze in modo molto più spiccato rispetto ai propri coetanei, e ciò è
causa di grossi problemi.
I maschi hanno una probabilità di manifestare
il disturbo almeno tripla rispetto alle femmine; da alcuni studi, anzi, emerge che i bambini con ADHD sono in
proporzione di nove a uno rispetto alle bambine. Gli schemi
comportamentali tipici delI'ADHD insorgono in genere fra i tre e i cinque anni.
Ci possono essere, però, ampie variazioni: in certi casi i sintomi compaiono
solo nella tarda infanzia o addirittura agli inizi dell'adolescenza.
I soggetti colpiti sono numerosissimi in
tutto il mondo. Molti studi valutano che sia affetto da ADHD tra il 2 e il 9,5 per cento dei bambini in età scolare; il
disturbo è stato identificato in tutte le nazioni e in tutte le culture.
Contrariamente a quanto si riteneva, inoltre, la
condizione può persistere in età adulta. Per esempio, circa due terzi
dei 158 bambini analizzati da me e dai miei colleghi negli anni settanta erano
ancora affetti dal disturbo tra i venti e i trent'anni. E molti di quelli che
non rientravano più nella descrizione clinica dell'ADHD avevano ancora
significativi problemi di adattamento nel lavoro, a scuola o in altri contesti
sociali.
Per poter aiutare i bambini (e gli adulti)
colpiti da ADHD, gli psichiatri e gli psicologi devono capire meglio le cause
del disturbo. Essendo stato tradizionalmente considerato un problema
dell'attenzione, alcuni hanno proposto per I'ADHD una spiegazione in termini di
incapacità a filtrare stimoli sensoriali competitivi, come quelli visivi e
quelli sonori. Recentemente, tuttavia, alcuni studiosi guidati da Joseph A.
Sergeant dell'Università di Amsterdam hanno dimostrato che i bambini affetti da
ADHD non presentano difficoltà in quel campo; piuttosto, non sono capaci di
controllare le risposte motorie impulsive a quegli stimoli. Altri ricercatori
hanno scoperto che i bambini con ADHD hanno una minore capacità di preparare in
anticipo le risposte motorie agli eventi e hanno difficoltà a modificare il
proprio comportamento in seguito agli errori compiuti in quelle risposte. Per
esempio, in un diffuso test dei tempi di reazione che prevede la pressione di
un pulsante all'accensione di una luce, i bambini con ADHD sono meno abili
degli altri. Inoltre, dopo aver compiuto errori m queste prove, non rallentano per
migliorare la propria precisione.
In cerca di una causa
Nessuno conosce le cause dirette e immediate
delle difficoltà incontrate dai bambini affetti da ADHD, ma i progressi nelle
tecniche di indagine neurologica e nella genetica fanno sperare che si possa
chiarire la questione entro pochi anni.
Alcuni studi fondati sulle moderne tecniche
di imaging hanno indicato quali potrebbero essere le regioni cerebrali il cui
cattivo funzionamento spiegherebbe i sintomi dell'ADHD: sembrerebbero coinvolti la corteccia prefrontale,
parte del cervelletto e almeno due gangli basali. In uno studio del
1996, F. Xavier Castellanos, Judith L. Rapoport e colleghi, del National
Institute of Mental Health, hanno
scoperto che la corteccia prefrontale destra e due gangli basali, il nucleo
caudato e il globo pallido, sono meno estesi del normale nei bambini affetti da
ADHD. Successivamente il gruppo di Castellanos ha trovato che anche il verme del cervelletto è di
dimensioni inferiori alla norma.
Queste informazioni sono significative perché
le aree cerebrali di dimensioni ridotte nei soggetti affetti da ADHD sono
proprio quelle che regolano l'attenzione. La corteccia prefrontale destra, per esempio, è
coinvolta nella programmazione del comportamento, nella resistenza alle distrazioni
e nello sviluppo della consapevolezza di sé e del tempo. Il nucleo caudato e il globo pallido
agiscono interrompendo le risposte automatiche per consentire una decisione più
accurata da parte della corteccia e per coordinare gli impulsi che raggiungono
le diverse regioni della corteccia. I1 ruolo del verme del cervelletto non è ancora del tutto
chiaro, ma indagini recenti fanno ritenere che abbia a che fare con l'essere motivati.
Da che cosa deriva la ridotta dimensione di
queste strutture cerebrali! Nessuno lo sa, ma molti studi sembrano avvalorare
l'ipotesi che il fenomeno possa essere dovuto a una disfunzione di alcuni dei
numerosi geni che normalmente sono attivi durante la formazione e lo sviluppo
della corteccia prefrontale e dei gangli basali. La maggior parte dei
ricercatori pensa attualmente che I'ADHD sia un disturbo determinato dal
concorso di più geni.
Le prime indicazioni sull'origine genetica dell'ADHD sono venute
da ricerche condotte sulle famiglie dei bambini affetti dal disturbo. Per
esempio, si è osservato che i fratelli e le sorelle di bambini con ADHD hanno
una probabilità di sviluppare la sindrome da cinque a sette volte superiore a
quella dei bambini appartenenti a famiglie non colpite. E i figli di un
genitore affetto da ADHD hanno fino a cinquanta probabilità su cento di
sperimentare le stesse difficoltà.
La prova più conclusiva del contributo
genetico all'ADHD, però, viene dallo studio sui gemelli. Nel 1992, Jacquelyn J.
Gillis, allora all'Università del Colorado, e i suoi colleghi scoprirono che il
rischio di ADHD in un gemello monozigote di un bambino affetto dal disturbo è
tra 11 e 18 volte superiore a quello di un fratello non gemello di un bambino
con ADHD; si valuta che tra il 55 e il 92 per cento di gemelli monozigoti di
bambini affetti da ADHD finisca con lo sviluppare la sindrome.
Uno dei più ampi studi sull'ADHD relativo a
gemelli fu condotto da Helene Gjone e Jon M. Sundet dell'Università di Oslo
insieme con Jim Stevenson dell'Università di Southampton in Inghilterra.
Coinvolgeva 526 gemelli monozigoti, che ereditano esattamente gli stessi geni,
e 389 gemelli eterozigoti, la cui somiglianza genetica è analoga a quella di
fratelli nati ad anni di distanza. Il gruppo di ricerca scoprì che I'ADHDè
ereditario quasi a11'80 per cento, cioè che circa 1'80 per cento delle
differenze nell'attenzione, nell'iperattività e nell'impulsività tra persone
affette da ADHD e persone sane può essere spiegato da fattori genetici.
I fattori non genetici che sono stati collegati al I'ADHD includono la
nascita prematura, I'uso di alcool e tabacco da parte della madre,
l'esposizione a elevate quantità di piombo nella prima infanzia e le lesioni
cerebrali - soprattutto quelle della corteccia prefrontale. Presi
insieme, tuttavia, questi fattori possono spiegare dal 20 al 30 per cento dei
casi di ADHD tra i maschi, e ancora di meno tra le femmine. (Contrariamente
alla convinzione popolare, non si è trovata alcuna correlazione tra ADHD e
metodi educativi o fattori dietetici.) Quali sono i geni difettosi! Forse quelli che determinano il
modo in cui il cervello utilizza la dopammina, una sostanza che
trasporta segnali chimici da un neurone all'altro. La dopammina è secreta dai
neuroni in particolari zone del cervello per inibire o modulare l'attività di
altri neuroni, in particolare di quelli coinvolti nell'emozione e nel
movimento. I disturbi del movimento nel morbo di Parkinson, per esempio, sono
provocati dalla morte di neuroni produttori di dopammina in una formazione del
cervello, la substantia nigra, al di sotto dei gangli basali.
Alcuni studi mettono in particolare evidenza
il ruolo svolto dai geni che impartiscono le istruzioni per la produzione dei
recettori e dei trasmettitori della dopammina; questi geni sono molto attivi
nella corteccia prefrontale e nei gangli basali. I recettori della dopammina si
trovano sulla superficie di alcuni neuroni. La dopammina trasporta il suo
messaggio a questi neuroni legandosi ai recettori. I trasportatori di dopammina
si protendono dai neuroni che secernono il neurotrasmettitore e recuperano la
dopammina inutilizzata in modo che possa essere usata di nuovo. Mutazioni nel
gene per il recettore della dopammina possono rendere i recettori meno
sensibili alla dopammina. Al contrario, mutazioni nel gene per il trasportatore
della dopammina possono rendere eccessivamente attivi i trasportatori, facendo
in modo che essi eliminino la dopammina prima che essa possa legarsi agli
specifici recettori situati su un neurone adiacente.
Nel
1995, Edwin H. Cook e colleghi, dell'Università di Chicago, riferirono che i
bambini affetti da ADHD avevano una maggiore probabilità di presentare una
particolare variante del gene per il trasportatore di dopammina DAT1. Analogamente, nel 1996, Gerald J.
LaHoste dell'Universita della California a Irvine e i suoi collaboratori
osservarono che nei bambini affetti da ADHD era particolarmente abbondante una variante del gene per
il recettore di dopammina D4. Ciascuno di questi studi, però, era stato
svolto su un campione relativamente limitato (40-50 bambini)e quindi i
risultati devono essere confermati da studi più vasti.
Dai geni al
comportamento
In che modo i difetti genetici e di struttura
cerebrale osservati nei bambini affetti da ADHD portano ai comportamenti
caratteristici del disturbo dell'attenzione associato a iperattività? In
definitiva, si potrebbe affermare che essi agiscono riducendo la capacità di
inibire comportamenti inadeguati.
L'autocontrollo - ossia la capacità di
inibire o di posporre le immediate risposte motorie (e forse emotive) a un
evento - è fondamentale per l'esecuzione di qualsiasi compito. Crescendo, la
maggior parte dei bambini matura la capacità di impegnarsi in attività mentali,
di vincere le distrazioni, di ricordare gli obiettivi e a compiere i passi
necessari per raggiungerli. Per conseguire un obiettivo nel lavoro o nel gioco,
per esempio, bisogna essere in grado di ricordare lo scopo (retrospezione), di
chiarirsi ciò che serve per raggiungere quell'obiettivo (previsione), di tenere
a freno le emozioni e di motivarsi. Se una persona non riesce a evitare
l'interferenza di pensieri e impulsi, nessuna di queste funzioni può essere
portata a termine con successo.
Nei primi anni, le funzioni esecutive sono
svolte in modo esterno: avviene che i bambini parlino tra sé ad alta voce
richiamando alla mente un compito o interrogandosi su un problema. Via via che
maturano, i bambini imparano a interiorizzare, a rendere private, le funzioni
esecutive, impedendo ad altri di conoscere i loro pensieri. I soggetti con
ADHD, invece, appaiono privi del freno necessario per inibire l'esecuzione
davanti a tutti delle funzioni esecutive. Queste ultime possono essere
raggruppate in quattro
attività mentali.
Una è l'operazione connessa
alla memoria di lavoro, ossia il tenere
a mente le informazioni mentre si lavora a un certo compito. Questa memoria è
di fondamentale importanza per la tempestività e il comportamento orientato
allo scopo: fornisce i mezzi per la retrospezione, la previsione, la
preparazione e la capacità di imitare un nuovo e complesso comportamento degli
altri: tutte attività menomate nei soggetti affetti da ADHD.
L'interiorizzazione del discorso autodiretto
è un'altra funzione esecutiva. Prima dei sei
anni, i bambini parlano spesso ad alta voce tra sé, per esempio cercando di
ricordare il modo per eseguire un certo compito o cercando di risolvere un
problema (Dove ho messo quel libro? Oh, l'ho lasciato
sotto
il banco). Questo comportamento si trasforma via via in un mormorio
inavvertibile e di solito scompare intorno ai 10 anni.
I discorso autodiretto interiorizzato
consente di riflettere su se stessi, di seguire regole e istruzioni, di usare
l'autointerrogazione per risolvere problemi e costruire metaregole rapidamente
e senza coinvolgere altri. Nel 1991, Laura E. Berk e i suoi colleghi della
Illinois State University trovarono che l'interiorizzazione del discorso
autodiretto avviene in ritardo nei bambini affetti da ADHD.
Una terza funzione esecutiva consiste nel controllare le emozioni, la
motivazione e lo stato di attenzione. Questo controllo aiuta gli
individui a raggiungere gli obiettivi, mettendoli in grado di posporre o
modificare le reazioni subitanee a un evento potenzialmente distraente, a
tenere per sé le emozioni e a porsi degli obiettivi. Coloro che sanno porre un
freno alle loro reazioni immediate vengono anche accettati più facilmente nella
società.
L'ultima funzione esecutiva, la ricostituzione, racchiude in
realtà due processi distinti: la scomposizione di comportamenti osservati nelle
loro componenti e la loro ricombinazione in nuove azioni che non fanno parte
del proprio bagaglio di esperienze. Quest'ultima funzione fornisce agli esseri
umani un grado elevato di destrezza, flessibilità e creatività; consente agli
individui di proiettarsi verso un obiettivo senza dover imparare a memoria
tutti i passi necessari. Permette ai bambini, via via che maturano, di tenere
sotto controllo il proprio comportamento su intervalli sempre più lunghi,
pianificando i comportamenti in modo da raggiungere lo scopo prefissato. Alcuni
studi preliminari fanno ritenere che i bambini con ADHD siano meno capaci di
ricostituzione degli altri bambini.
Ritengo che, come il discorso autodiretto,
anche le altre tre funzioni esecutive vengano interiorizzate nel corso
dell'evoluzione del sistema nervoso centrale. Questa interiorizzazione è
essenziale per formare l'immaginazione visiva e il pensiero verbale. Crescendo,
i bambini sviluppano la capacità di avere comportamenti segreti, di mascherare
alcuni dei loro pensieri e sentimenti. Forse a causa di un difetto genetico o
dello sviluppo embrionale, i bambini affetti da ADHD non raggiungono questa
capacità ed eccedono quindi nelle verbalizzazioni e nel manifestare i propri
comportamenti. Secondo me, la disattenzione, l'iperattività e l'impulsività di
questi bambini sono provocate dall'incapacità di farsi guidare da istruzioni
interne e di controllare i propri comportamenti.
Insegnare
l'autocontrollo
Se davvero I'ADHD è un'inibizione deficitaria
del comportamento che ritarda la comparsa della capacità di interiorizzare ed
eseguire le quattro funzioni mentali che ho descritto, i bambini affetti da questo disturbo potrebbero
essere aiutati da un ambiente più strutturato. Una struttura ben
organizzata può essere un importante complemento a qualsiasi terapia
farmacologica i bambini possano ricevere. Negli Stati Uniti ai bambini (e agli
adulti) affetti da ADHD si usa somministrare farmaci che aumentano la capacità
di inibire e regolare i comportamenti impulsivi. Questi farmaci agiscono
inibendo i trasportatori di dopammina e quindi aumentando il tempo a
disposizione della dopammina per legarsi ai recettori presenti su altri
neuroni.
Questi prodotti (che, a dispetto dei loro
effetti inibitori, sono psicostimolanti) hanno mostrato di poter migliorare il
comportamento nel 70-90 per cento dei bambini affetti da ADHD di età superiore
ai cinque anni. I bambini che assumono questi farmaci sono non solo meno
impulsivi, irrequieti e distraibili, ma anche più capaci di tenere a mente
informazioni, di avere migliori risultati a scuola, e inoltre di avere un
discorso più interiorizzato e un maggiore autocontrollo. Il risultato è che
tendono a essere apprezzati di più dagli altri bambini e devono subire meno
punizioni per le loro azioni.
Il modello del disturbo che ho messo a punto
suggerisce che, oltre agli psicostimolanti, e forse per alcuni bambini agli
antidepressivi, il trattamento dell'ADHD dovrebbe includere corsi per genitori
e docenti in modo da insegnare loro nuovi e più efficaci metodi per affrontare
i problemi comportamentali: per esempio, rendere più frequenti e immediate le
conseguenze dell'azione di un bambino e aumentare l'impiego di stimoli e
suggerimenti per apprendere le regole e il senso del tempo. Genitori e insegnanti
devono aiutare i bambini affetti da ADHD anticipando gli eventi al posto loro,
scomponendo i compiti futuri in passi più piccoli e più immediati, e offrendo
piccoli premi e incentivi. Tutti questi passi servono a rendere comprensibili
il tempo, le regole e le conseguenze delle azioni in modo da contrastare la
debolezza del repertorio interno di informazioni regole e motivazioni.
In alcuni casi, i problemi di questi bambini
possono essere abbastanza gravi da richiedere l'attivazione di particolari programmi
scolastici. Per quanto questi programmi non abbiano l'intendimento di curare le
difficoltà del bambino. di solito forniscono un ambiente di sostegno più
circoscritto e meno competitivo, in cui il bambino può ricevere un'istruzione
individualizzata. La speranza è che, una volta apprese le tecniche per superare
le carenze di autocontrollo, i bambini possano rientrare in una situazione
scolastica normale.
Non esiste una cura per I'ADHD, ma ora si sa
molto di più sul modo per fronteggiare efficacemente questo persistente e
preoccupante disturbo dell'età evolutiva. Presto forse diventeranno disponibili
test genetici per I'ADHD e si potranno progettare terapie più specializzate per
contrastare le specifiche carenze genetiche dei bambini che soffrono di questo
disturbo.
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