L'ipotesi della logica affettiva
La psiche potrebbe
articolarsi in un sistema dell'affettività, che conferisce alle informazioni
una qualità emozionale, e un sistema della cognizione, che le sottopone a un
vaglio logico
Sentimento
e pensiero, emozione e cognizione, affetti e logica sono stati finora per lo
più trattati isolatamente nella psicologia e nella sociologia, e quasi per
nulla indagati nella loro regolare interazione, mentre nella realtà psichica
sono sempre inseparabilmente connessi: cosa invero di per sé già nota da molto
tempo, ma non ancora compresa in misura sufficiente nel suo significato. Fu
questo fatto a dare il primo impulso al concetto della logica
affettiva, che venne
formulato per la prima volta una decina di anni fa da Luc Ciompi (Psichiatra
svizzero), in connessione col problema della schizofrenia e che continua da
allora a sviluppare e generalizzare.
Questo concetto si fonda sull'ipotesi
economica che l'intera complessità di strutture e processi psichici derivi
dall'interazione fra due unità funzionali fondamentali, complementari nella
loro azione: un sistema affettivo qualificante,
che opera con un piccolo numero di stati affettivi fondamentali (comuni per lo
meno a tutti gli animali supenori), e un sistema di
pensiero quantificante - astraente, che si e affinato enormemente nel
corso dell'evoluzione fino all'uomo attuale. Attraverso l'azione, per lo più ripetitiva
- ossia, nel senso più vasto, attraverso l'intera
esperienza vissuta - le due unità funzionali si uniscono in sistemi di
riferimento affettivo - cognitivi funzionalmente integrati, o in programmi di
affettività, pensiero e azione. Essi formano nella
loro combinazione un sistema complessivo altamente differenziato per affrontare
la realtà in cui ci si imbatte.
Su questa base si propone ora un nuovo
modello psico - socio - biologico della psiche, in cui agli affetti o emozioni
- ovvero ai loro correlati neurofisiologici - competono fondamentali funzioni
organizzative e integrative. Diventa cosi possibile collegare contenuti cognitivi
omogenei a programmi di emozione, pensiero e azione dotati di un'uguale
colorazione emozionale.
Fattori affettivi svolgono inoltre un ruolo
centrale nella memorizzazione e mobilitazione funzionali di contenuti mnestici,
cooperando inoltre all'ulteriore sviluppo di sistemi funzionali cognitivi a
livelli di astrazione più alti. Innumerevoli programmi di affettività,
pensiero e azione rappresentano così - e questa l'ipotesi centrale della logica
affettiva - sui più svariati gradini gerarchici i veri e propri mattoni della
psiche, la quale può, essere intesa corrispondentemente come una compagine di
tali programmi organizzata in modo estremamente complesso.
Questa ipotesi utilizza una quantità di
risultati paralleli forniti dalle ricerche neurobiologiche e neuropsicologiche
più recenti, come pure dalla cosiddetta epistemologia genetica dello psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) e dalla psicoanalisi di Sigmund Freud (1856-1939). Al tempo
stesso si stabilisce una connessione fra la psicodinamica individuale e
concetti della teoria dei sistemi sociodinamici, la quale comprende anche
conoscenze sulla dinamica non lineare di sistemi complessi auto-organizzati
lontani dall'equilibrio. In tal modo l'ipotesi unifica contributi provenienti
da vari ambiti scientifici in un concetto teorico sovraordinato e sembra quindi
appropriata a contribuire a una migliore integrazione fra le varie scienze
della psiche, frammentate in una pluralità di discipline specialistiche e di
scuole. Anche il molto deplorato deficit teorico della psichiatria potrebbe
essere attenuato da un'ottica nuova, la quale vedesse
anche nel sentimento, oltre che nel pensiero, uno strumento importante, di
ugual valore per la comprensione e il controllo della realtà.
Affetti, emozioni, stati d'animo o sentimenti
come rabbia, gioia, collera, cordoglio e ansia vengono definiti nella logica
affettiva come disposizioni qualitative globali,
la cui durata può, variare da pochi secondi (per le emozioni nel senso della
fisiologia) fino a molte ore, o addirittura giorni e settimane (per stati
d'animo nel senso della psicologia). Il loro comune denominatore consiste nel
fatto che si tratta sempre di fenomeni complessivi - della psiche, del sistema
nervoso centrale, come pure del corpo - i cui concomitanti vegetativi vengono
prodotti da ormoni.
Affetti ed emozioni
non si verificano dunque solo nella testa, ma prendono allo stomaco - secondo
il modo di dire popolare -, mozzano il fiato, fanno battere forte il cuore, corrono giù per la spina dorsale
e fanno rizzare i capelli. La loro azione e misurabile obiettivamente,
per esempio, in variazioni del polso, della pressione arteriosa e della
respirazione, della tensione muscolare, della resistenza elettrica e
irrorazione sanguigna della pelle. Affetti ed emozioni in questo senso non
devono inoltre essere sperimentati necessariamente in modo cosciente. Essi si
muovono, per esprimerci in un modo molto semplice, fra un polo positivo e un
polo negativo (secondo Freud fra il piacere e il dispiacere) e abbracciano -
presumibilmente nella forma di un miscuglio e di variazioni di un numero minore
di sentimenti fondamentali - l'intera ricchezza di tutte le sfumature
concepibili dei sentimenti.
Sotto l'etichetta del pensiero, che riunisce le funzioni
cognitivo-intelleffive, si deve invece intendere l'applicazione
quantificante, analitica, di rapporti di grandezza, tempi, distanze, angoli e
altre relazioni fra elementi cognitivi, a partire da singole percezioni fino a
concetti astratti generali. La
cognizione è elaborazione dell'informazione dagli stimoli sensoriali fino
all'instaurazione di tali rapporti. Dal tipo di selezione e connessione
degli elementi cognitivi deriva una logica ben determinata. Prestazioni simili
di elaborazione dell'informazione fornisce anche un computer.
Un semplice esempio può chiarire che cosa
intendo dire: quando progetto un viaggio in una determinata città, l'elemento
cognitivo tipico che entra in gioco è per esempio ciò che so della sua
posizione geografica, delle distanze, dei mezzi di trasporto e dei tempi, la
conoscenza della pianta della città e dell'ubicazione del mio albergo.
L'elemento affettivo è costituito invece da tutti i sentimenti, o valutazioni
affettive, positivi o negativi, concepiti sulla base di esperienze precedenti o
di informazioni di altro genere, connessi in modo cosciente o inconscio a
questi elementi cognitivi. Essi colorano e determinano
in modo decisivo tutto il mio pensiero e il mio comportamento la mia
logica - rispetto a questa città e, nel caso di un atteggiamento positivo, sono
responsabili del fatto che io sono in generale motivato a compiere questo
viaggio, che applico abbastanza a lungo e abbastanza intensamente la mia
attenzione a esso e che mi comporto e mi organizzo corrispondentemente, magari
anche per mesi.
L'esempio illustra al tempo stesso che
elementi complementari affettivi e cognitivi si uniscono in sistemi di
riferimento - e addirittura in programmi di affettività, pensiero e
comportamento integrati funzionalmente; in questo caso gli elementi cognitivi
potrebbero essere paragonati alle strutture grafiche di un quadro, o ancora
meglio di un film in movimento, mentre gli affetti potrebbero essere assimilati
ai colori. Siffatte qualità (cromatiche) sono assegnate, conformemente alla
logica affettiva, a tutti i contenuti cognitivi, dalle percezioni più
elementari (per esempio di un semplice oggetto) fino ai concetti astratti e
alle teorie più complesse, in particolare fino a tutti i sistemi di valori e di
norme, senza fare eccezione per le ideologie politiche e religiose.
E. inoltre interessante un fattore temporale
e al tempo stesso strutturale: gli affetti durano
minuti, ore o addirittura giorni, mentre i contenuti concettuali possono
variare nel giro di secondi. In questo contesto il sentimento sembra per lo più
un'oscillazione fondamentale o portante relativamente lenta o una invarianza,
sulla quale i pensieri, più precisi, sono modulati rapidamente, per cosi dire
come una varianza. (Molto più di rado anche gli affetti possono mutare
rapidamente in presenza di un unico determinato contenuto cognitivo, per
esempio un luogo o una persona. Allora si vede l'oggetto in una luce del tutto
diversa.)
Dalla combinazione di determinate invarianze
con determinate varianze risultano - per esprimerci nei termini più generali -
strutture tipiche di ogni sorta. Dalla combinazione di determinate emozioni con
determinate cognizioni deriva in tal modo potenzialmente l'intera molteplicità
delle strutture psichiche interne, con le quali noi comprendiamo e manipoliamo
il mondo esterno, a sua volta strutturato.
Del problema di come le strutture
affettivo-cognitive abbiano origine e di come si sviluppino fino all'età adulta
si sono occupati, anche se in modo molto diverso, soprattutto due indirizzi
scientifici: la psicoanalisi freudiana e
l'epistemologia genetica di Piaget. La prima ha studiato prevalentemente
il lato affettivo di questo processo, la
seconda il lato cognitivo.
Benché fra le due teorie e i due ambiti di
ricerca che si fronteggiano con un atteggiamento quasi di rifiuto siano stati
gettati solo pochi ponti concettuali, le due parti hanno conseguito risultati
sorprendentemente corrispondenti e complementari. Ciò, vale nel modo più chiaro
per il primo anno di vita. Piaget e
collaboratori hanno investigato in modo minuzioso come le rappresentazioni cognitive elementari si formino
particolarmente a partire da oggetti quotidiani, come semplici giocattoli o
poppatoi. Gli psicoanalisti cercarono invece di ricostruire lo sviluppo della
rappresentazione del mondo nel bambino piccolo specialmente attraverso una
analisi esatta dei rapporti affettivi fra madre e
figlio.
Piaget riconobbe che i concetti
cognitivo-mentali derivano tutti quanti da determinati modelli d'azione
sensomotori, che a partire dal primo giorno di vita si sviluppano e si
differenziano in relazione alle esperienze sulla base dei riflessi innati. Un
esempio in proposito è fornito dai riflessi di suzione e di prensione. Entro
pochi mesi, mentre i movimenti delle mani, della testa, degli occhi e del corpo
intero diventano sempre più coordinati e sempre più fini, da tali riflessi
derivano già schemi complessi, per esempio per l'uso del poppatoio o per
riconoscere l'intera figura materna. Che tali inizi vengano sempre più
interiorizzati e mentalizzati al crescere dell' automatizzazione dei movimenti
è dimostrato dal fatto che determinati modelli sensomotòri vengono accompagnati
inizialmente da gesti simbolici e da espressioni mimiche, e infine anche da
suoni verbali simbolici nella forma di cosiddette frasi di una o due sillabe,
come da, ma, me, dada: Da questi elementi si sviluppa col tempo - anche in questo
caso dall'azione nel senso più vasto - l'intero linguaggio verbale.
Secondo osservazioni orientate in senso
psicoanalitico, il mondo del neonato si suddivide in un primo tempo in un «mondo-tutto-bene», con connotazioni affettive
totalmente positive, e un «mondo-tutto-male»,
con connotazioni affettive totalmente negative. Nel corso di un complesso
processo di differenziamento, in ciascuno questi due mondi affettivi vengono,
per così dire, registrati sempre nuovi elementi di percezione o di esperienza
che presentano tonalità affettive simili, con modi di comportamento
corrispondenti. Sentimenti elementari di piacere e dispiacere sembrano dunque
agire dal principio come organizzatori e integratori fondamentali, permettendo
di classificare immediatamente in modo sensato, anche se grossolano, tutto ciò
in cui il soggetto si imbatte: in utile e desiderabile da un lato e in
pericoloso, da evitare rigorosamente, dall'altro. Particolarmente importanti
sono, secondo la concezione psicoanalitica, gli eventi orali connessi alla fame
e alla sazietà - decisivi per la fase iniziale della sopravvivenza -
nell'interazione con la madre (la figura di riferimento di maggiore rilievo).
Una fase di sviluppo più significativa viene
raggiunta attorno all'ottavo mese, quando gli aspetti affettivo-cognitivi della
madre, colti all'inizio solo in modo frammentario, si organizzano in una figura
materna completa, che rimane impressa nella memoria. Questa cosiddetta costanza
dell'oggetto si rivela prevalentemente nel fatto che il neonato comincia a
mostrare segni di timidezza. Egli diventa timoroso e schivo verso gli estranei,
i quali vengono ora riconosciuti come persone chiaramente diverse dalla madre.
All'incirca nello stesso periodo compaiono le
prime reazioni di rifiuto e di sfida, che andranno poi rafforzandosi, e infine
anche suoni simbolici per esprimere «no» e «io». Da queste manifestazioni
risulta che stanno formandosi, parallelamente a rappresentazioni di oggetti
esterni, anche rappresentazioni di sé, ossia rappresentazioni mentali
interiorizzate della propria persona.
Proprio in relazione all'oggetto preferito di
Piaget, il biberon, o dell'oggetto parziale, preso maggiormente in
considerazione dagli psicoanalisti, il seno materno, diventa chiaro che i due
approcci illuminano da punti di vista diversi lo stesso processo. Questa
sintesi mostra come elementi affettivi e cognitivi cooperino fin dal principio
inscindibilmente nella formazione delle strutture psichiche, cosa che non viene
contestata da nessuno dei due indirizzi di ricerca. E notevole il fatto che
Piaget, occupatosi per una volta eccezionalmente del lato emozionale dello
sviluppo cognitivo, trovi, che proprio a partire dall'ottavo mese si verifica
una cosiddetta «costanza degli affetti»; in altri termini, si verifica una
significativa stabilizzazione del legame di determinati sentimenti con
determinati contenuti cognitivi.
Per
il primo anno di vita non ci sono quindi praticamente contraddizioni importanti
fra i risultati dei due indirizzi di ricerca, se si prescinde dal fatto che le
epoche iniziali delle vane fasi di sviluppo vengono fissate in momenti un po'
differenti e che si danno valutazioni diverse delle componenti affettive e
cognitive. Per gli anni successivi si ha una maggiore divaricazione dei punti
di vista, ma i risultati ottenuti dai due indirizzi continuano a integrarsi nei
principi generali come pure in vari aspetti parziali.
Particolarmente interessante è, in questo
contesto, l'analisi di Piaget del processo di ricerca di equilibri sempre più
avanzati: lo sviluppo di strutture cognitive (o schemi, per usare la sua
espressione) a livelli di astrazione progressivamente superiori. Con l'aiuto di
esperimenti costruiti in modo ingegnoso - per esempio con una determinata
quantità di liquido che veniva travasato da un bicchiere basso e largo in un
bicchiere alto e stretto - Piaget esaminò in modo dettagliato come si formi la
capacità del pensiero astratto in bambini di età compresa fra cinque e sei
anni. A partire da uno schema cognitivo elementare di spiegazione (per esempio
più alto significa di più, e quindi nel bicchiere più alto c'è più acqua) si
perviene in questa fase a un concetto essenzialmente più astratto: il bicchiere
più alto, ma più stretto, contiene dopo l'operazione di travaso la stessa
quantità d'acqua del bicchiere più basso ma più largo. Questo passo in avanti
nello sviluppo è causato dalle contraddizioni che emergono nell'applicazione
del concetto originario - sentito sempre più come un disturbo - e si compie in
varie fasi.
I segni osservabili di un'intensa
partecipazione affettiva - per esempio grida di stizza
o esclamazioni di meraviglia in una prima fase, un'ansiosa insicurezza in una
fase intermedia caratterizzata da ambivalenza, una gioia trionfale nell'ultima
- dimostrano che non ci troviamo affatto in presenza di un processo puramente
cognitivo. Tali segni rimangono trascurati nella concezione dello sviluppo
cognitivo in Piaget pur essendo annotati nei protocolli delle osservazioni,
proprio come non vengono prese in considerazione in modo adeguato le interazioni - che non di rado vengono chiaramente in
luce - fra il bambino e lo sperimentatore, le
quali ricordano fenomeni di transfert in senso
psicoanalitico. Dal punto di vista della logica
affettiva, proprio i sentimenti positivi e negativi sono un componente
integrante necessario dell'intero processo. Essi non svolgono soltanto la
funzione dinamica di una motivazione che contribuisce alla formazione di nuove
strutture cognitive, come ammette lo stesso Piaget, ma al tempo stesso additano
e spianano la strada dalle cattive alle buone soluzioni, associando regolarmente
sentimenti piacevoli alle soluzioni concordanti, mentre gli elementi
discordanti suscitano emozioni opposte e vengono eliminati. Alle buone soluzioni seguono quindi la fissazione e il
consolidamento di sentimenti gradevoli di distensione. I modi di pensare
concordanti sono piacevoli, sia all'interno di sistemi di riferimento già
avviati sia nella costruzione di nuovi. Affetti positivi affini saldano infine
vari elementi concordanti in una totalità funzionale.
Componenti affettive sono connesse, almeno nell'infanzia,
praticamente a tutte le prestazioni di pensiero cognitivo. Questa associazione
continua a sussistere in età adulta? Nella scienza e nella tecnica, o
almeno in matematica, non c'è un pensiero totalmente libero da emozioni?
Secondo la definizione degli affetti data
all'inizio è impossibile non trovarsi in uno stato d'animo in qualche modo
colorato da affetti. Persino la distensione, l'armonia, la tranquillità e la
freddezza, e addirittura l'indifferenza, continuano a essere in questo senso stati
d'animo con corrispondenti fenomeni concomitanti psichici e somatici. In quale
misura, persino nel pensiero apparentemente privo di emozione, traspaiano
sempre elementi affettivi più o meno inconsci lo ha indicato per esempio, dopo
la ricerca psicoanalitica, anche la ricerca sui pregiudizi: sono quindi carichi
di affettività non solo parole stimolo come «palestinesi» o «israeliani,
«bianchi» o «neri», «noi, o «loro», ma addirittura concetti quotidiani e
ovvietà che a tutta prima sembrerebbero neutri, come per esempio le normali
regole di pensiero e di comportamento nei rapporti con i propri simili.
Persino nell'origine di concetti e teorie
scientifici, e in operazioni matematiche astratte, le emozioni svolgono un
ruolo non secondario: l'entusiastico eureka di
Archimede, quando identificò nella quantità d'acqua spostata la misura
della spinta idrostatica, chiarisce in modo evidente come anche nella scienza
stessa soluzioni corrette, plausibili, siano accompagnate da sentimenti di piacere e di distensione (il vocabolo
stesso «soluzione» ha forti connotazioni emotive). Discordanze e contraddizioni
vanno invece a braccetto con dispiacere e disappunto. Fra lo scolaro che scopre
per la prima volta con gioioso stupore la reversibilità di operazioni di
calcolo elementari come 2 x 2 = 4 e 4 : 2 = 2, e il futuro scienziato che può,
provare sentimenti simili nel comprendere la correttezza di formule come la famosa E = mc2 di Albert Einstein, ci sono
differenze solo nel grado astrazione e forse nell'intensità, ma non nella
qualità essenziale degli eventi affettivo - cognitivi.
In verità la forte tonalità affettiva,
all'inizio cosciente, associata a tali scoperte diminuisce fortemente via via
che vanno automatizzandosi i corrispondenti processi affettivi e cognitivi, ma
ciò, non significa che venga meno ogni emozione. Le capacita cognitive ben
affinate suscitano in noi, come ha mostrato Freud, un piacere segreto simile a
quello che danno la capacita di sciare o quella di
guidare l'automobile, e quindi abilita motorie. Qualcosa del forte
sentimento originario continua a trasparire persino nell'uso familiare
apparentemente privo di emozione di soluzioni e operazioni cognitive ormai
perfezionate, e si esprime nel fatto che lo scienziato e il matematico parlano
spesso e volentieri della bellezza o dell'eleganza di una certa formula o
teoria.
Se però in teorie consolidate emergono
d'improvviso irritanti contraddizioni, o addirittura se tali teorie vengono
messe radicalmente in discussione da un paradigma del tutto nuovo - come per
esempio nel caso delle scoperte di un Copernico, di un Darwin, di un Freud, di
un Einstein -, la loro carica emotiva nascosta torna fulmineamente in
superficie: ancor oggi, come è ben noto, le ondate di indignazione o di stupore
suscitate dalle rivoluzioni scientifiche scatenate da questi uomini non si sono
ancora spente.
Il problema se possano esistere in generale
aree del pensiero e del comportamento esenti da connotazioni emotive è stato a
suo tempo discusso con grande energia anche nell'ambito della cosiddetta
«psicologia dell'Io». Così Heinz Hartmann, uno fra gli psicoanalisti emigrati
negli Stati Uniti negli anni trenta, postulò, nel 1937 una zona priva di
conflitti, affettivamente neutralizzata dall'esercizio e dall'abitudine,
analoga all'hinterland tranquillo di uno Stato minacciato ai confini. Tale zona
potrebbe però, essere riconflittualizzata in ogni momento da irruzioni dal
fronte dell'affettività Benché questa tesi sia rimasta discutibile, nessuno
dubiterà che la rabbia o il timore originari, ma anche la gioia o l'entusiasmo
per l'acquisizione di una nuova capacità o per lo sviluppo di una nuova teoria,
lascino di solito il posto, al crescere della routine, a sentimenti più
tranquilli, e a volte addirittura contrari rispetto a quelli iniziali. Una
reale libertà delle funzioni cognitive da affetti - come pure una totale
libertà degli affetti dalla cognizione - è secondo l'ipotesi della logica
affettiva impossibile, almeno nel caso di strutture cerebrali intatte.
Ovviamente la complessa gerarchia dei sistemi
di riferimento affettivo - cognitivi non può essere in alcun modo intesa come
qualcosa di statico. Essi sono piuttosto, secondo il concetto della logica
affettiva, una compagine di programmi di affettività, di pensiero e di
comportamento associati a una base neuronale, che sotto l'influsso
dell'esperienza attuale si riorganizza di continuo almeno in settori parziali.
Al tempo stesso questo insieme di programmi memorizza e condensa l'intera
esperienza passata in una compresenza o contiguità sincronica, che in
situazioni simili può sempre, in un certo senso, tornare a svolgersi in una
successione diacronica. Su questo meccanismo si fondano sia semplici riflessi
condizionati (apprendimento condizionato) sia le più complesse reazioni
psicoanalitiche di transfert. Poiché in tali programmi non si riflette solo
l'esperienza psichica ma anche l'intera esperienza interpersonale e il rapporto
col mondo, ne risulta una connessione logica concettualmente chiara fra ambiti
che finora venivano affrontati per lo più con teorie separate. Cosi la
psicoanalisi si occupa preferenzialmente della psicodinamica,
mentre la dinamica familiare, la dinamica dei gruppi e altri processi sociali
vengono trattati dalla teoria dei sistemi, spesso
senza alcun rapporto all'individuo.
I programmi di affettività, di pensiero e di
comportamento, una volta formati, rimangono dunque modificabili e ampliabili
attraverso l'apprendimento, e proprio qui le componenti affettive tornano a
svolgere un importante ruolo organizzativo-integrativo. Come ci insegna l'esperienza quotidiana, avvenimenti e fatti che furono
connessi a sentimenti importanti - come gioia, terrore, ansia o rabbia - si
conservano particolarmente bene nella memoria. Le informazioni puramente
cognitive, invece, lasciano freddi e (come ben sanno pubblicitari e i
giornalisti) cadono praticamente nel vuoto. Il fenomeno della dipendenza
dell'apprendimento e del ricordo da un determinato stato funzionale del
cervello dimostra che gli affetti agiscono come filtri o commutatori, i quali
decidono che cosa in generale sarà memorizzato o richiamato alla memoria. Così, per esempio, la persona innamorata, felice ed euforica
registrerà aspetti di uno stesso ambiente del tutto diversi da quelli ricordati
dalla persona triste, in collera o spaventata, e corrispondentemente diversi
saranno i suoi ricordi.
Oltre ai risultati delle ricerche di fisiologia
cerebrale su questi fenomeni, dei quali ci occuperemo più dettagliatamente fra
poco, anche osservazioni puramente psicologiche ci dicono che contenuti di
memoria cognitivi legati fra loro da affetti uguali vengono mobilitati di
preferenza proprio negli stessi stati affettivi, come hanno dimostrato in modo
impressionante, per esempio, gli esperimenti eseguiti negli anni settanta alla
Johns Hopkins University a Baltimora, nel Maryland, da Stanislaw Grof. Quando
Grof, per mezzo dell'ipnosi o di farmaci psicotropi, induceva nei suoi soggetti
sentimenti di ansia, gioia o vergogna, emergevano per cosi dire in blocco
ricordi dispersi su tutta la vita ma rimossi, caratterizzati da una qualità
affettiva omogenea; egli chiamò, tali blocchi ricordi
Coex (dall'espressione inglese condensed experiences, esperienze condensate).
Comunque avvenga l'attivazione di determinati
blocchi affettivo - cognitivi, essa dipende - secondo la concezione che si
sta presentando - dalla struttura dei
sistemi di riferimento affettivo - cognitivi esistenti non meno che dalla
natura degli evocatori, siano essi di tipo cognitivo, affettivo, sensomotorio o
biochimico (in relazione al funzionamento del sistema nervoso centrale). Ciò
può spiegare con facilità perché stimoli uguali possano avere su individui
differenti effetti cosi diversi da dare agli esperimenti risultati
contraddittori. Esso chiarisce al tempo stesso perché la controversia, in corso
ormai da decenni, sul problema se l'elemento primario
sia l'affetto o la cognizione, non potrà presumibilmente mai essere
risolta a favore dell'uno o dell'altro orientamento.
Persino il cosiddetto libero arbitrio
presenta una struttura tipicamente affettivo-cognitiva: esso ha un contenuto
cognitivo (voglio costruire una casa, andare a Parigi, comprare questo o
quell'oggetto) e corrisponde al tempo stesso a un intenso affetto dominante.
Dall'analisi di tutte le indicazioni e gli indizi relativi, Piaget concluse
addirittura che la volontà sarebbe una «regolazione
affettiva di regolazioni,, e che esprimerebbe un impulso affettivo
gerarchicamente sovraordinato.
L'interpretazione di Piaget è in accordo con
quella delle funzioni di mobilitazione e organizzazione-integrazione degli
affetti postulate dalla logica affettiva: l'«affetto del volere» dominante,
focalizzato, canalizza e polarizza il pensiero verso un obiettivo determinato
più fortemente di tutti gli affetti subordinati; esso è perciò notoriamente in
grado di spostare le montagne. Solo nell'uomo, però, i suoi effetti si spingono
così lontano da poter sopprimere volontariamente certi moti dell'animo oppure
anche da poterli simulare.
Non si dovrebbe peraltro perdere di vista il
fatto che, in ultima analisi, tali «regolazioni» stanno a loro volta di nuovo
sotto l'imperio di affetti sovraordinati, come vergogna, ansia o aggressività.
Poiché gran parte di queste commutazioni affettive - come dimostrano i
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